Meno di due mesi fa il Governatore della Banca centrale inglese definiva il problema degli aumenti dei prezzi alimentari “apocalittico”. Da settimane si discute con preoccupazione del blocco delle esportazioni di grano ucraino a causa della guerra e dell’impatto che la mancanza di fertilizzanti e la fiammata sui loro prezzi avranno sulla resa delle colture.
Si stima, in questo ultimo caso, un impatto fino al 25%. Russia e Bielorussia, la prima ricca di gas con cui si producono i fertilizzanti e la seconda di potassio, sono tra i principali esportatori globali di fertilizzanti. Le implicazioni sociali e politiche sia in Europa che nel Mediterraneo di una crisi alimentare non dovrebbero lasciare tranquillo nessuno.
In questi stessi giorni, ringraziamo Bloomberg per la “dritta”, gli agricoltori olandesi scendono in piazza per protestare contro un piano di riduzione di emissioni di nitrogeno che potrebbe costringere gli allevatori ad abbattere il 30% del bestiame e per le fattorie più piccole determinare la chiusura. L’Olanda è uno dei principali esportatori di alimentari. Il Governo olandese deve attuare il piano di riduzione europeo e ha l’obiettivo di farlo entro il 2030 riducendo della metà il nitrogeno. In teoria mancano otto anni, ma come sempre gli annunci, soprattutto se credibili, determinano conseguenze molto più veloci di quelle implicite nella scadenza. Pensiamo al programma europeo di divieto di produzione delle auto con motore a combustione oltre il 2035. Le imprese rivedono i piani di investimento molto prima di quella data e in questo modo iniettano ondate di “volatilità” sul mercato del lavoro da subito. Per la cronaca, nel caso specifico, le preoccupazioni dei produttori auto sulla disponibilità di componenti per i motori elettrici, in particolare batterie, non hanno sortito alcun effetto sulla burocrazia europea.
Si è più o meno capito quindi che il possesso di un’auto nell’utopia europea diventerà un lusso. Oggi diventa chiaro che anche il consumo di carne sarà un lusso e un sacrificio imposto a decine di milioni di ignari europei sulla via del “cambiamento climatico”. Questo ovviamente si somma ai problemi sulla disponibilità di grano e di fertilizzanti che derivano dal gas che l’Europa, Italia inclusa, non vogliono estrarre. Nessuno si sogna di sottoporre a un voto democratico queste evoluzioni. Ci pensa la “scienza”.
C’è un capro espiatorio, lungi dall’essere innocente, a cui attribuire ogni colpa per l’aumento dei prezzi, la crisi economica e prossimamente, speriamo di no, quella alimentare: la Russia. L’utopia europea invece deve essere perseguita a qualunque costo, in qualunque contesto internazionale e anche se esiste il rischio che semplicemente non ci sia abbastanza per sfamare tutti. L’agricoltura come viene intesa nell’utopia non ha la resa necessaria per sfamare 7 miliardi di persone. Oltretutto il sogno europeo “green” spinge sulla luna i prezzi degli alimentari mettendo all’angolo i Paesi in via di sviluppo che reagiscono nell’unico modo possibile: bloccando le esportazioni di quel poco o quel molto che hanno per sottrarlo alle speculazioni che i mercati internazionali inevitabilmente montano sulle risorse percepite come scarse.
In uno scenario in cui le risorse diventano strutturalmente scarse qualsiasi politica monetaria espansiva può solo esasperare l’inflazione. Se invece si opta per una stretta monetaria, allora arriva la recessione e in Europa la frammentazione. Non ci sono alternative monetarie “buone” perché è la politica economica che è irrimediabilmente sbagliata.
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