Secondo una celebre affermazione di Agatha Christie, tre indizi fanno una prova. L’evoluzione del M5S in un partito di centro moderato, anti giustizialista e attento ai bisogni dei ceti medi, riaffermata da Luigino Di Maio in un’illuminante intervista rilasciata ieri su La Stampa ad Andrea Malaguti, conferma l’aspirazione dell’ex capo popolo di trasformarsi in un autentico statista. Il protagonista si descrive di fatto come un leader capace di guidare il suo partito nel periglioso mare della cosiddetta terza repubblica, tale da mantenere un ruolo centrale nei tre governi che si sono di segno diverso che si sono alternati nel corso della legislatura, l’ultimo dei quali subentrato all’esplicito fallimento dei primi due. Una condizione che lo autorizza a rivendicare il merito del boom delle esportazioni italiane e di aver imposto le scelte della transizione ecologica al neo presidente del Consiglio.
Agli sprovveduti commentatori delle vicende politiche italiane è veramente difficile comprendere quale possa essere la relazione esistente tra le bandiere sventolate nelle campagne elettorali e le politiche messe in campo dal M5S con il reddito di cittadinanza, la quota 100, il decreto dignità, il dispendio di risorse per riportare nella mano pubblica Alitalia, Autostrade, Ilva (tanto per citare i provvedimenti più noti), e i successi ottenuti in ambito internazionale dagli imprenditori italiani, che fino a qualche tempo fa venivano onorati con il titolo di “prenditori”.
Il proposito di rappresentare il ceto medio “che paga le tasse e che porta sulle spalle il peso della collettività” vacilla non poco, dati i precedenti. Al nostro ministro degli Esteri pro tempore evidentemente sfugge che il ceto medio da lui citato nell’intervista è composto per la quasi totalità da dirigenti, quadri aziendali e pensionati provenienti da queste categorie (il 25% dei contribuenti che versa all’erario il 70% dell’Irpef), che coincidono con quelli che sono stati assimilati dai vaffagrillini a una sorta di mangiapane a tradimento degni di essere sottoposti a prelievi forzati sul reddito per elargire sussidi a persone che in buona parte evadono le tasse.
Lecito chiedersi quanto sia rimasto del sistema dei valori che viene ancora orgogliosamente rivendicato dai due leader (Conte e Di Maio) rimasti in soglio del M5S che fu. Le convulsioni interne al movimento sono quelle tipiche dei partiti in fase di dissoluzione. Poche idee e ben confuse, faide interne volte togliere di mezzo i potenziali concorrenti in vista della scontata riduzione del numero dei parlamentari e dei consensi elettorali, la liquidazione dei principali elementi costitutivi: l’uno vale uno, il vincolo dei due mandati, la riduzione degli stipendi parlamentari, la piattaforma per l’affermazione della democrazia diretta che doveva rivoluzionare i sistemi politici a livello mondiale.
Ma l’abbandono delle demagogie ridicole che hanno accompagnato la crescita dei consensi non coincide affatto con la pretesa e vantata maturità raggiunta dalla classe dirigente del M5S, ma più semplicemente la constatazione della sua inutilità. Nessuno dei buoni propositi rivendicati da Di Maio nelle recenti interviste, è stato tradotto nelle prese di posizione assunte, anche recentemente, dal movimento sui temi della giustizia, dell’impresa, del lavoro. Che rimangono ancorate sulle vecchie pulsioni giustizialiste, stataliste e assistenziali per la semplice impossibilità del movimento di gestire al proprio interno le conseguenze dei repentini cambi di rotta.
L’approdo inevitabile di quel che rimane del consenso verso questo partito è la convergenza organica con il Pd. La vera ciambella di salvataggio di quello che rimarrà della classe dirigente del M5S, sempre che le vicende interne al Partito democratico lo consentano, dopo gli esiti delle prossime elezioni amministrative. Tra Conte e Di Maio si è di fatto aperta la competizione su chi è destinato a diventare il leader guida di questo percorso. Attualmente sottotraccia e gestita in punta di fioretto, ma destinata a sfociare in colpi di sciabola nel giro di pochi mesi.
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