Nelle ultime quarantott’ore – mentre l’Italia veniva investita dalla seconda ondata Covid – il partito di larga maggioranza relativa in Parlamento e nel governo si è segnalato per due prese di posizione.

M5s ha anzitutto polemizzato con la chiamata alla presidenza di UniCredit di Piercarlo Padoan, ex ministro dell’Economia, attualmente deputato Pd. UniCredit è una società totalmente privata e quotata in Borsa e i suoi consiglieri si sono espressi all’unanimità a favore della candidatura Padoan; e quest’ultimo ha annunciato immediatamente le sue dimissioni dalla Camera, la quale potrà eventualmente opporsi attraverso proprie procedure consolidate.



L’arrivo di Padoan al vertice di UniCredit è stato estesamente commentato in chiave di accelerazione dell’ipotesi di aggregazione fra UniCredit e Mps. Uno sviluppo da tempo al centro di rumor politico-finanziari in funzione della necessità di riprivatizzare la banca senese in definitiva sicurezza. La contrarietà di M5s è stata per lo più interpretata in chiave di timore che il possibile esito metta in discussione il ruolo dell’amministratore delegato Mps, Guido Bastianini: proveniente dalla crisi Carige, paracadutato a Rocca Salimbeni la scorsa primavera su pressione M5s, in una logica di classica lottizzazione delle poltrone pubbliche.



Ieri invece dal tweet ufficiale pentastellato è partito uno zelante anatema contro Alessandro Profumo: amministratore delegato di Leonardo, raggiunto poche ore prima da una condanna in primo grado, per fatti risalenti a quando il manager era presidente di Mps; fatti non legati al dissesto maturato in precedenza, ma alla contabilizzazione di un derivato; fatti per i quali la Procura di Milano aveva dapprima chiesto l’archiviazione e poi l’assoluzione. Dietro la richiesta di dimissioni immediate di Profumo – appena confermato per un nuovo mandato al vertice di Leonardo su indicazione del Pd – gli osservatori hanno visto unanimi la fretta M5s di avocare una poltrona fra le più ambite in ambito politico. Leonardo è infatti un player globale di sistemi per la difesa, centrale come Eni nelle proiezioni geopolitiche del Paese. Giusto al rinnovo della scorsa primavera, nel Cda di Leonardo il Mef ha inserito Carmine America: ex compagno di scuola del ministro degli Esteri, Luigi Di Maio.



Ora invece per la (possibile) sostituzione in corsa di Profumo è tornato a circolare con insistenza il nome di Domenico Arcuri: da sette mesi super-commissario della Presidenza del Consiglio all’emergenza Covid, il suo operato è tornato al centro di pesanti critiche allorché il Paese si ritrova ad affrontare una recrudescenza della pandemia. con una preparazione insufficiente e ingiustificata.

Un caso – quello di Arcuri – che sempre ieri è sembrato assumere un inequivocabile profilo politico: ben superiore a quello dei casi Padoan e Profumo. E’ accaduto quando Dario Franceschini – capo-delegazione del Pd nell’esecutivo – ha formalmente messo in mora il premier Giuseppe Conte (due volte indicato da M5s), sollecitandolo a “tornare a bordo”, a non fuggire dalle sue responsabilità istituzionali e – se ne è capace – a prendere tutti i provvedimenti necessari per fronteggiare una nuova escalation Covid.

Sostituire Arcuri – per esempio con Vittorio Colao – potrebbe essere una mossa raccomandabile. A meno che il Parlamento – uscendo da un torpore istituzionale sempre più grave e pericoloso – non segnali al Presidente della Repubblica l’opportunità di formare un governo di unità nazionale. E se il Paese dev’essere guidato in questa fase terrific da un italiano non eletto al Parlamento, per fortuna c’è, si chiama Mario Draghi, e può mettersi al lavoro subito.