La crisi conclamata del M5S che oltre a mettere a rischio il Governo Draghi in un quinquennio è passato dall’essere il primo partito italiano a una percentuale al di sotto del 10% può essere commentata con sarcasmo e ironia (e non ne mancherebbero certo gli argomenti), ma alla fine è anche una sconfitta per tutti.



Sembra ieri quando il Movimento prometteva di aprire il Parlamento come “una scatola di tonno”, annunciava più avanti “la fine della povertà” e che comunque avrebbe dimostrato un modo rivoluzionario “dal basso” su come affrontare la politica.

Un M5S che poteva stupire, illudere, ma sicuramente – almeno all’inizio – era un modo magari folkloristico ma anche in buona fede di cambiare la politica italiana e la logica di palazzo. È passato meno di un quinquennio e l’aspetto più triste della mancata rivoluzione grillina è proprio il vedere come non solo i protagonisti si sono velocemente adeguati all’andazzo generale, ma soprattutto come un’altra volta sia fallita la possibilità di un vero ricambio della classe politica italiana e almeno l’avvio di riforme coerenti e strutturali.



Causa principale di questa rivoluzione mancata è stata soprattutto il mediocre (o peggio) livello della classe dirigente del M5S che – alla prova dei fatti – si è dimostrata qualitativamente del tutto insufficiente al “livello minimo sindacale” per occuparsi della cosa pubblica, dimostrandosi troppo spesso senza esperienza e capacità.

A parte la continua emorragia di eletti che si sono accasati in altri e a volte opposti schieramenti politici senza minimamente porsi un problema di coerenza rispetto all’elettorato, è evidente che anche la pattuglia ministeriale grillina – pronta a continui cambi di maggioranza – è stata però complessivamente incapace di andare oltre agli slogan e ad alcuni provvedimenti-facciata (vedi il Reddito di cittadinanza) che sono apparsi alla fine più una distribuzione di sussidi che un rinnovamento vero del mercato del lavoro. Gli esempi poi di ministri come Toninelli o Azzolina hanno fatto il giro del mondo sottolineando la loro inadeguatezza. 



Falliti rovinosamente a livello amministrativo locale con le poche persone serie che erano state arruolate all’inizio che se ne sono andate appena possibile (una per tutte la sindaca di Torino, Chiara Appendino, o il sindaco di Parma Federico Pizzarotti) oppure che sono state cacciate dagli elettori al loro primo rinnovo (come a Roma Virginia Raggi che ha raccolto solo il 19% dei voti), anche a livello politico il movimento ha dimostrato di non avere radici.

Alla fine questa fine ingloriosa è però una sconfitta non solo del M5S, ma di tutto il sistema politico italiano, perché il voto ai pentastellati, soprattutto al Sud, era stato anche l’ennesimo tentativo di cambiamento da parte di una quota consistente dell’elettorato, sfiancata e sfiduciata dalle delusioni e dagli insuccessi in serie accumulati nei decenni da tutto l’arco politico. Era stata un’apertura di credito, una speranza di rinnovamento, un ultimo appello prima di rifugiarsi – come si è visto anche recentemente – nel limbo grigio del “non voto”. 

L’evaporazione del Movimento è quindi anche la possibile certificazione di morte delle possibilità di autorigenerarsi di un Paese, ma pure la conferma che non basta urlare per saper governare, così come non basta un’elezione primaria – magari “on line” – per far emergere candidati con buone capacità personali.

Una grande occasione persa di “democrazia diretta”, perché era stato effettivamente rivoluzionario e innovativo proporre il metodo di consultazione on line dei simpatizzanti per prendere le decisioni importanti, così come per la scelta dei candidati ai diversi livelli. Alla fine non ci perdono quindi solo i grillini ma ci perdiamo tutti, perché ritorna inossidabile il vecchio sistema dei partiti e delle correnti, delle amicizie e delle clientele. Un sistema cui però anche gli eletti pentastellati si sono in gran parte subito adeguati, prontamente sedotti dai vantaggi del sistema appena hanno intravisto possibilità personali.

Di qui una lunga e progressiva cancellazione degli elementi caratterizzanti che erano stati a fondamento del M5S, a cominciare dal divieto di plurima rielezione.

Fine precoce e ingloriosa di un Movimento nato dal basso che aveva potenzialità enormi, ma le ha sciupate, “normalizzandosi” – forse purtroppo – alla prima occasione concreta.

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