Con alcune eccezioni, i media italiani non hanno dato grande risalto agli sviluppi della singolare “doppia visita” in Cina del Presidente francese Emmanuel Macron e della Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. Un passaggio che sta invece facendo discutere moltissimo attori e osservatori della scena internazionale.
Il tour a Pechino – peraltro concordato fra Parigi e Bruxelles – ha reso plastica la disunità interna all’Europa, con Macron (circondato dall’establishment economico francese) più aperto verso il leader cinese Xi (che ha ricambiato) a differenza di von der Leyen, che ha scambiato soprattutto freddezza. I due leader europei – assieme – hanno comunque riproposto una gestualità diplomatica tesa a differenziare l’Ue rispetto alla fermezza Usa/Nato sullo scacchiere ucraino (e quindi taiwanese). Un passo che sta costando al Presidente francese critiche pesanti sull’opportunità di disarticolare il fronte occidentale alla vigilia di settimane forse decisive per il conflitto nell’Est Europa.
Il merito della questione – al centro di un’incertezza geopolitica tuttora estrema, a cominciare dalle ripercussioni economiche – non è di poco conto: neppure per l’Italia. Sul versante della politica estera italiana cronisti e commentatori hanno voluto dare priorità a un “gesto” assai meno rilevante per gli interessi del Paese: l’astensione italiana, in sede Ue, nella censura all’Ungheria sulle linee-guida educative riguardanti la dimensione lgbtq+. Viktor Orban è peraltro alla sbarra in Europa anzitutto per la sua posizione “non intransigente” verso la Russia (anche se, a conti fatti, dopo 13 mesi di guerra Budapest sembra più spregiudicata di Parigi).
Sul grande fronte geopolitico, invece, tutti i critici assortiti del Premier italiano Giorgia Meloni non possono non riconoscere all’Italia una posizione chiara, coerente, ben diversa sia da quella di Orban, sia da quella di Macron: una linea di appoggio convinto alla linea Usa/Nato. Ed è all’interno di questa opzione che è maturata una correzione d’atteggiamento verso la Cina, improntata a un maggior realismo: soprattutto verso la strategia della “Via della Seta” su cui Xi insiste dall’Asia verso l’Europa. Meloni lo ha testimoniato personalmente al leader cinese i durante l’ultimo G7 di Bali. Per questo il Premier italiano è stato a Kiev, è probabile voli a Washington nei prossimi mesi e non andrà invece a Pechino sulle orme di Macron, von der Leyen e del Cancelliere tedesco Olaf Scholz. È un fatto, non un giudizio. Ma un fatto acquisito, trasparente.
Il merito di ogni questione di governo – anche questa – in una democrazia si discute in Parlamento. Vi si è attenuta anche Meloni, su una linea di continuità rispetto al Governo Draghi, ricevendo la fiducia della sua maggioranza. Chi invece non ha ancora chiarito la sua posizione su Cina e Russia (ormai è evidente che l’ordine di priorità è questo) è il Pd, autonominatosi “guida dell’opposizione parlamentare” in Italia.
È rimasta ancora in silenzio – su questo e su altro – la neo-segretaria Elly Schlein, presentando la nuova squadra di vertice “dem”: una sorta di “Governo-ombra”. Ma la Premier-ombra – neo-deputata – si era già fatta notare per la sua assenza alla Camera al momento del voto sulle ultime comunicazioni parlamentari della Meloni sugli aiuti a Kiev. E ci sono pochi dubbi che Schlein sarebbe stata in imbarazzo anche maggiore se avesse dovuto rispondere a questa domanda: se lei la settimana scorsa fosse stata Premier italiano avrebbe chiesto di aggregarsi al viaggio di Macron e von der Leyen? O si sarebbe inserita nella recente trasferta – solo apparentemente minore – del Premier spagnolo Pedro Sanchez, compagno di partito nel Pse? Ma soprattutto: cos’avrebbe detto a Xi?
Avrebbe perorato, come Macron, la causa dell’Azienda-Italia (ad esempio della Motor Valley emiliana)? Avrebbe rivestito i panni di grandi power & business broker del centro-sinistra italiano fra Italia e Cina, come Romano Prodi o Massimo D’Alema? Oppure, pur restando sul terreno economico, avrebbe scelto di fare l’esatto contrario? Avrebbe cavalcato tutte le cause della transizione verde (molto indigeste a Pechino), contrapponendo l’Europa dei diritti (anzitutto delle minoranze) a quella degli affari?. E quanto si sarebbe distanziata dall’inequivocabile postura filocinese dell’ex Premier pentastellato Giuseppe Conte?
Avrebbe sollecitato Xi, “Elly”, ad assumere un ruolo più deciso nel raffreddare la crisi ucraina? Magari con accenti “terzi” fra Mosca e Kiev: quelli del nuovo “ministro-ombra degli Esteri” del Pd, Giuseppe Provenzano; oppure quelli – sovrapposti anche se diversi – delle componenti cattoliche del partito. Una posizione “per la pace, non con Usa militaristi” sarebbe ortodossa rispetto alla “scuola di Bologna” fin dai tempi del cardinale Giacomo Lercaro; e anche rispetto all’ala più radicale dei “dem” Usa (spesso critici verso Joe Biden), nelle cui fila ha militato il padre di Schlein, politologo.
Schlein, dal canto suo, ha dribblato in blocco la questione (tutte le questioni) quando ha comunicato via social la composizione del suo “Governo ombra”. Il Parlamento, il confronto vero con la maggioranza di governo e l’opinione pubblica possono attendere.
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