L’ennesima “rivoluzione francese” coglie l’Ue in una fase di particolare debolezza e incertezza per il futuro. E la crisi interna – che pare per alcuni versi irreversibile – di Emmanuel Macron ha l’aggravante politica di colpire un Presidente rieletto da appena un anno e con quattro anni di mandato ancora davanti. L’unico “Capo di Stato” – di un Paese fondatore dell’Unione – a sedere con questo titolo al Consiglio Ue.
Nel primo quinquennio, così come al debutto del secondo, un Presidente che non è riuscito a cambiare la Francia e alla fine neppure a tenerla in carreggiata ha cercato in Europa la scena per affermare la propria leadership, di radice tecnocratica e globalista. Il suo dream di grande riformatore europeo – delineato in un discorso alla Sorbona all’indomani dell’elezione 2017 – sembrava avere buone chance. Nel gennaio 2019 – in una sorta di “passaggio di testimone” – la Germania della quasi-uscente Angela Merkel aveva accettato di accordarsi con Parigi in un patto che auto-assegnava al tradizionale “asse carolingio” la guida di un processo di revisione della governance Ue, anzitutto quella economico-finanziaria. Ma è tutto già preistoria: anzi un “progetto/desiderio di storia” che non è mai neppure iniziato.
Già nella primavera 2019 il voto europeo – che aveva visto l’arretramento di popolari, socialisti e liberali e fra l’altro l’affermazione della Lega in Italia – aveva costretto Macron e Merkel a improvvisare il riassetto dell’organigramma Ue. Ursula von der Leyen non era – alla fine – né la candidata di Merkel (che ha cominciato a preparare il terreno della vittoria socialdemocratica nel 2021 in Germania), né di Macron: che incassò la nomina di Christine Lagarde alla Bce, rivelatasi tuttavia poi poco convincente nella guida dell’euro e quindi poco efficace anche per le ambizioni dell’Eliseo. Pochi mesi ancora e la pandemia e quindi la crisi geopolitica in Ucraina hanno definitivamente chiuso sul nascere il cantiere macroniano di un’Europa 3.0 dopo Roma 1957 e Maastricht 1991.
Se l’aggressione russa a Kiev ha aiutato Macron nella faticosa rielezione dell’aprile 2022 (quel passaggio confermò che l’avversaria Marine Le Pen aveva ricevuto finanziamenti dal Cremlino), il suo reiterato movimentismo solitario come possibile mediatore fra Mosca e Kiev è stato regolarmente frustrato. E non si è rivelata meno controversa la recente missione del Presidente francese in Cina, con un’apparente apertura sulle mire di Pechino su Taiwan. Sia il Macron “professore alla Sorbona”, sia l’aspirante “power broker globale” hanno comunque dovuto fare i conti con un “fronte interno” instabile e turbolento prima per i “sabati di fuoco” dei gilet gialli contro un tentativo di transizione energetica spinta; poi per gli scioperi anti-riforma delle pensioni e anti-inflazione da parte dei dipendenti pubblici, ora per un’incidente-scintilla che ha nuovamente incendiato tutte le piazze della Francia profonde, irrequiete per cento motivi.
È una crisi, quella della presidenza Macron, che promette conseguenze non trascurabili sull’intera Ue: e la ripartenza anticipata del leader francese dal Consiglio Ue, venerdì sera, è stata esemplare. Un seggio-guida a Bruxelles è oggi virtualmente vuoto in un passaggio cruciale come il probabile inizio del dopo-guerra in Ucraina. Uno dei tre partiti-guida in a Strasburgo (i liberali di Alde-Renew Europe) è senza testa quando è iniziata l’incertissima campagna elettorale per il rinnovo dell’euro-parlamento e quindi della Commissione Ue. Ma è in forte difficoltà – nel macronismo sotto assedio nelle piazze francesi – la stesso europeismo come formula politica e strumenti di governo. Con tutte le contraddizioni del caso: prima fra tutte quella che ha visto Parigi attaccare spesso l’Italia sul fronte migratorio, senza peraltro mai offrire all’Ue modelli e soluzioni reali, inclusive e coesive.
L’implosione francese non sembra d’altronde una svolta cui il Governo Meloni possa in qualche modo guardare con soddisfazione. È proprio in queste settimane – dopo la visita della Premier a Parigi – che stava invece prendendo forma una sintonia d’interessi fra Francia e Italia sul fronte della ripristino dei parametri di stabilità economico-finanziaria. La Francia – anzitutto quella in difficoltà nell’imporre una riforma previdenziale meno dura di quella italiana del 2011 – non ha bisogno in questo momento di un’Ue troppo rigida nelle regole di bilancio: esattamente come l’Italia sta già battagliando per ottenere un percorso di riconvergenza del debito sulle medie Ue.
Non è quindi escluso che maturi qualcosa di paradossale. Domenica 23 ottobre 2022 Meloni, in carica da poche ore, volle incontrare Macron di passaggio a Roma per un evento della Comunità di Sant’Egidio. La neo-Premier italiana non ebbe timore di insistere per un primo incontro – a Roma – con il Presidente francese, che non risparmiò invece la sufficienza dl grande leader europei diffidente verso la capo-partito post-fascista vincitrice delle ultime elezioni. Nove mesi dopo, quell’immediata “rottura di ghiaccio” (la prima che Meloni cercò nelle sue prima settimane) potrebbe risultare utile anche a Macron.
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