La visita-lampo in Algeria del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha avuto riflessi mediatici stretti, protocollari. Eppure non si è trattato affatto di un viaggio di routine diplomatica. Per l’Italia l’Africa del Nord è oggi l’area d’attenzione geopolitica forse massima. 

Quando l’energia sta diventando l’emergenza nell’emergenza post-Covid, il capo dello Stato italiano è volato ad Algeri per rinnovare storiche partnership petrolifere: quelle inaugurate dall’Eni di Enrico Mattei, cui nella capitale algerina è stato dedicato un nuovo giardino. La massima carica della Repubblica si è ritrovata fianco a fianco coi vertici dell’Eni, a cominciare dall’amministratore delegato Claudio Descalzi. E non ha mancato di rammentare, Mattarella, le motivazioni non solo economico-finanziarie che mossero Mattei: che radicò l’Eni in Africa sulla scia di una precisa mission sociopolitica di sostegno alla democratizzazione post-coloniale.



È questo un messaggio che Mattarella non ha avuto difficoltà a recapitare vis-à-vis, nei toni più amichevoli, al presidente algerino Abdelmadjid Tabboune. Oggi, invece, per il presidente della Repubblica italiana rimane ancora off-limits la Libia: cuore dell’Africa mediterranea, da più di un secolo sponda strategica. Petrolio e migranti, ma sempre più anche sicurezza: dopo che Tripolitania e Cirenaica sono diventate teatro di un “grande gioco” fra potenze vecchie e nuove, grandi come la Russia o medie come la Turchia. Mattarella, con la sua presenza ad Algeri – pur nel suo ruolo e a poche settimane dalla scadenza formale del suo mandato al Quirinale – è parso segnalare un atteggiamento diverso da parte dell’Italia: attento, concreto, responsabile. In una parola: autorevole, pochi giorni dopo il G20 che ha avuto il suo regista in Mario Draghi.



È una fase, questa, in cui l’Eni è tornata a muoversi con profilo pieno: anche dopo l’assoluzione dalle accuse di una lunga inchiesta-processo per presunti casi di corruzione in Nigeria. È un momento in cui l’emergenza migranti non ha certamente perduto il suo rilievo, ma certamente si sono molto attenuate le cariche ideologiche a sostegno dell’“accoglienza tutta e subito” (il Covid ha fatto girare il vento d’opinione a sfavore del ministro dell’Interno Luciana Lamorgese, rispetto al suo predecessore Matteo Salvini). E quando l’accoltellatore di un poliziotto francese a Cannes, ieri, aveva un permesso di soggiorno italiano è evidente che la minaccia del terrorismo islamico è ancora viva e che l’Italia deve fare di più per contenerla.



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