C’è una voglia lurida di gogna, in questo Paese. La storia dolorosa di Giorgia Meloni e Andrea Giambruno è diventata top trend in pochi minuti, e si comprende la curiosità, non la malsana insistenza di sberleffo, di disprezzo, che poco nascondono la diffidenza o l’odio ideologico, da una parte, ammantato di moralismo. Come se non si fosse trovato di meglio che ferire una donna, guarda caso presidente del Consiglio, e poiché poco valeva l’attenzione ossessiva sul vestiario, sul parrucchiere, sugli amici, le vacanze, la figlia mai esibita ma notata in qualche viaggio, ecco servita su un piatto d’argento la sua testa, e gratis, dal programma principe della tv del giro, il braccio economico che sostiene una zeppa della coalizione di governo. Operazione concordata o improvvisata  di quel malandrino di Ricci, chissà.



In ogni caso, nessuno si è premurato di ricordarsi che c’è di mezzo una bambina. La fine di una storia d’amore così nota è forse fatale sia travolta dall’amplificazione mediatica, usata per ferire, umiliare chi non si è riusciti a umiliare nelle urne. Si gongola per gli alterchi mascherati tra alleati, per le dichiarazioni del vicepresidente del Consiglio, con un “tiè!” meschino che copre spesso la mancanza di argomenti, e idee, e voti. Ma la difesa della politica, che sarebbe doverosa, per un minimo rispetto del decoro di una carica istituzionale, deve sottostare a una strenua difesa ben più importante, quella della donna. Con tutti i “Me too” fioccati in questo decennio, spesso strumentali, con le sacrosante reali iniziative delle donne in politica per ottenere una parità vera in termini di diritti e compensi, è inaccettabile che si colpisca una donna nella sua intimità per abbatterla sul piano pubblico, politico.



Da una parte l’accusa ipocrita di non esser stata fedele all’ideale, una famiglia coi crismi matrimoniali. Dal pulpito di chi battaglia per le adozioni tra omosessuali, le famiglie che più allargate non si può, l’utero in affitto, e aizza i giudici a riconoscere come famiglia qualsivoglia forma di convivenza risponda al ghiribizzo del singolo, e del momento. Dall’altra (che spesso si somma alla prima, e diventa sempre la stessa parte), il ditino alzato per giudicare la forma fluida di un legame sentimentale. Poteva anche sposarsi, insomma. E poi trovarsi un uomo che non lavora a Mediaset. Magari di sinistra, per poi andare insieme a qualche puntata di Avanti popolo. Come se essere di destra significasse ipso facto condividere una visione maschilista della società, accettare le intemerate di marpioni che albergano in ogni parte politica, o peggio condividere le serate eleganti di chi il centrodestra ha fondato.



No, essere donna al potere non si può. Non solo perché gli uomini al tuo fianco non sanno fare un passo indietro e contenere i loro esibizionismi e spacconaggine, anche perché il mondo non ti perdona, e deve trovare il modo per farti fare la parte della vittima, la parte debole. Si irride poi il Dio-patria-famiglia che la Meloni ha indicato più volte come somma di valori. Vorremmo sapere che c’è di male, nel provare ad essere cristiani, anche se incoerenti, nell’amare il proprio Paese e nel credere nella famiglia, anche se non si riesce a farla reggere.

Non è una difesa della Meloni politica, è una difesa della libertà che viene invocata dai maestri del pensiero, usi alla predica guardando da una parte sola. L’incoerenza viene imputata solo ad alcuni. Ed è una difesa strenua, accorata, di una bambina. Non interessa a nessuno. Non preoccupa nessuno. Poi tutti a piangere per bimbi con due, tre mamme che non  vengono riconosciuti dai tribunali.

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