Alla vigilia del Consiglio Ue di giovedì – decisivo anzitutto per gli aiuti finanziari all’Italia – Francia e Germania ritrovano un’importante sintonia sul cruciale versante geopolitico. L’Europa carolingia – asse portante dell’Unione – alza la voce contro la Cina sulla pandemia “disruptiva” per il pianeta. Il cancelliere Angela Merkel ha fatto proprie, ieri sera, le posizioni espresse nel fine settimana dal presidente  Emmanuel  Macron in un’ampia intervista al Financial Times.  “Non siamo ingenui, in Cina è accaduto qualcosa che non sappiamo”, ha detto Macron.  “La Cina deve dare chiarezza” su quanto accaduto a Wuhan, ha ora fatto eco Merkel, che ha puntato chiaramente il dito contro Pechino. Contro il “paramount leader” XI Jinping: prima artefice di un grave insabbiamento informativo globale sul focolaio originario del coronavirus; ora alla controffensiva in un’ambigua campagna di “aiuti umanitari” ai Paesi colpiti dalla pandemia “cinese”, in un tourbillon di voci su rischi di scalate ostili da Pechino sulle aziende strategiche europee atterrate in Borsa.



Non era scontato che Francia e Germania ritrovassero unità d’intenti nel gettare le fondamenta di un “muro” anti-Cina. Sia Berlino che Parigi – al pari di Londra in fase Brexit – hanno mantenuto a lungo un atteggiamento flessibile verso Pechino e la strategia Belt and Road: il cui primo momento è stato lo sforzo di conquista del mercato delle tecnologia 5G da arte di Huawei. Una campagna osteggiata inizialmente dalla sola “America First” di Donald Trump. Ora anche i due dioscuri “renani” della Ue, al centro di un continente duramente colpito dal virus, si schierano: contro il centro di gravità asiatico della “metà del mondo” che non conosce e rifiuta la civiltà liberal-democratica. 



È una svolta che il Governo italiano commetterebbe un grosso errore a ignorare, magari consapevolmente. L’Eurogruppo ha raggiunto alla vigilia di Pasqua un faticoso compromesso per poter garantire all’Italia l’accesso a una quarantina di miliardi di finanziamento straordinario dal Mes, a medio termine e senza la condizionalità cui è invece dovuta sottostare in passato alla Grecia. Ma viene data per scontata – per ragioni del tutto giustificate – una condizionalità costitutiva: l’adesione al posizionamento geopolitico dell’Unione. Per l’Italia, tuttavia, in questo momento tale adesione è tutto fuorché scontata.



Dal premier Giuseppe Conte (sostenuto alla Santa Sede, all’ultimo miglio di un proprio accordo con Pechino), al ministro “antagonista” degli Esteri, Luigi Di Maio, tuttora leader di una parte di M5S; fino al ministro Pd dell’Economia, lo storico marxista Roberto Gualtieri, l’esecutivo giallo-rosso presenta un residua coesione proprio nell’orientamento filocinese, ormai prossimo al “non allineamento” rispetto ai consolidati riferimenti geopolitici del Paese, Usa e Ue. E mentre Conte persevera nel rilasciare ai media tedeschi interviste intrise di populismo mediterraneo, non sorprende che la spregiudicata comunicazione di palazzo Chigi assecondi voci ambigue di capitali cinesi di riserva pronti a sottoscrivere emissioni straordinarie di Btp, utili a sostenere plateali rifiuti delle offerte “irricevibili” di aiuti dall’Europa fondata a Roma 73 anni fa.     

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