Se ministri dell’Interno di Francia e Germania, oltre al nuovo commissario Ue all’immigrazione, sono dovuti volare fino a Malta per discutere con il nuovo collega italiano Luciana Lamorgese della crisi migranti, ciò è avvenuto per merito quasi esclusivo di Matteo Salvini: che al Viminale ha imposto per 14 mesi un’inversione totale della linea di accettazione pedissequa dei diktat europei nell’applicazione degli accordi di Dublino. E se ora il nuovo governo M5s-Pd-Iv-Leu non dovesse ottenere dall’Europa cambiamenti tangibili sul “fronte dei porti”, sarebbe forse inevitabile chiedersi se ciò non sia dovuto alla rimozione di Salvini dal Viminale su pressione dell’Europa e dei suoi paesi dominanti.



C’è un crudo “Comma 22” nel coro di pensosissimi auguri ha accompagnato ieri mattina Lamorgese a Valletta. È un momento della verità, ha riconosciuto un editoriale del Corriere della Sera: “Se anche questa volta le promesse dovessero rimanere tali, a perdere non sarebbe soltanto il governo italiano, ma i nuovi leader europei che hanno assicurato di voler mettere in minoranza i governi sovranisti e populisti grazie a una politica fatta di risultati concreti. Ecco perché questa volta non si può sbagliare”.



Lo stesso Corriere – timoroso come altri che errori e cocci ricadano esclusivamente sul Conte-2 – è stato però lesto a mettere le mani avanti: “È il primo incontro dall’elezione di von der Leyen e sarebbe assurdo credere che basti una riunione per chiudere un accordo”.

Forse è così, visto dai piani alti dell’eurocrazia di Bruxelles. Ma visto da Roma o da Milano – o da Lampedusa – le cose stanno molto diversamente. Un passaggio impegnativo come il ribaltone estivo del governo è maturato sulla base di un unico assunto: per ottenere – subito – margini di “flessibilità” dalla Ue su migranti come sui conti l’Italia avrebbe dovuto mettere – subito – nell’angolo la Lega di Salvini. E ciò è avvenuto in aperta (voluta) contraddizione con un responso elettorale importante come quello delle europee di maggio: quando la Lega è emersa come prima forza politica italiana.



Ma è stato un po’ tutto “Comma 22” quello che si è susseguito nelle ultime settimane. Salvini – al di là di qualche errore tattico o spregiudicatezza stilistica – aveva posto a metà estate l’esigenza di una verifica politica sostanziale. Il Paese aveva premiato alle urne – europee – la sua linea di confronto fermo con la Ue sulla sua competenza di governo: un chiarimento ampio era necessario alla vigilia di un nuovo round di politica finanziaria. Salvini, è noto, avrebbe voluto presentare a Bruxelles una manovra espansiva, imperniata su forti stimoli fiscali alle imprese, questa volta resistendo ai no rigidi e ostili con cui la Commissione aveva accompagnato la messa a punto manovra 2019. La Lega aveva fra l’altro conquistato una netta legittimazione elettorale presso ceti e aree del Paese molto diverse dai bacini M5s: il partner di governo che nei fatti aveva zavorrato la manovra del Conte-1 con interventi assistenzialisti in netto contrasto con la cornice di Maastricht.

Lo sviluppo e l’esito del “ribaltone” sono d’altronde noti. Dopo il rifiuto del Quirinale di concedere elezioni anticipate, Il Conte-2 è nato esplicitamente per archiviare un Conte-1 sgradito all’Europa per la presenza della Lega (come se gli accordi di Dublino o di Maastricht prevedessero un particolare “parametro politico” per modulare la loro applicazione).

Il governo giallorosso prende quindi dunque forma nell’intento aperto di fare su ogni terreno il contrario di quanto aveva fatto il Conte-1: e questo nel presupposto che anche la Commissione von der Leyen si sarebbe mossa verso Roma all’opposto della commissione Juncker. Il suggello di questa nuova entente è stato inizialmente l’opaco appoggio di M5s alla ratifica di von der Leyen all’europarlamento; e quindi la pioggia di endorsement internazionali per Conte a consultazioni italiane ancora aperte. Ma da ora in poi torneranno a parlare i fatti: e non è ancora chiaro se questi fugheranno i rischi di “Comma 22” o se invece vi si ritroveranno impigliati.

l’Italia chiede ai partner europei una distribuzione strutturata di tutti i migranti in arrivo dall’Africa: non solo dei pochi effettivamente identificabili come “profughi”, ma anche della maggioranza di quelli che attraversano il Mediterraneo per motivi economici (e che vogliono cercare fortuna in tutt’Europa, non solo in Italia). Ancora: Lamorgese porrà sul tavolo un allargamento dei porti di sbarco ad altri Paesi (anzitutto Francia e Spagna).

È chiaramente solo a queste condizioni che un governo italiano credibile potrà portare davanti al suo Parlamento una modifica dei decreti Salvini: peraltro la sua ragion d’essere. Ma finora il Viminale – chiuso in un silenzio impenetrabile – si è ben guardato anche solo dal prospettare la modifica delle norme in vigore (troppo sgradevole per il premier Conte che le ha firmate e troppo politicamente rischioso per Pd e M5s alla vigilia di voti locali). Lamorgese sta invece dissimulando una lenta “disapplicazione” caso per caso, come testimonia anche l’ultima autorizzazione all’attracco della Ocean Viking a Messina.

Ma l’atmosfera da “Comma 22” delle prime due settimane di vita del Conte-2 non potrà durare molto. Senza contare che il governo italiano chiamato a incassare solidarietà dall’Europa ha una legittimazione politica interna molto inferiore a quello che la solidarietà l’ha pretesa e ha in fondo trascinato la Ue al tavolo di Malta. Salvini era leader della Lega e vicepremier; Lamorgese è un prefetto in pensione e anche Conte è un non eletto, un anomalo “premier del Presidente”. Il ministro degli interni tedesco, Horst Seehofer, fino a pochi mesi fa era il boss della Csu bavarese e litigava da pari a pari con il cancelliere Angela Merkel, fra l’altro proprio sull’apertura ai migranti.

Entro venerdì, intanto, con la Nota di aggiornamento al Def scenderà intanto in campo anche il nuovo ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri. Qui il “Comma 22” ruota attorno all’interpretazione della “flessibilità verde” che Francia e Germania hanno anzitutto riservato a se stesse. Entro ottobre dovranno essere a un certo punto fermate le tavolette del gioco del deficit/Pil (il 3% sbandierato “a prescindere” dalla nuova maggioranza sarà forse riportato al precedente 2% dopo il peggioramento delle previsioni sul Pil?). E la Ue si spingerà a promuovere come “investimento climatico” fuori bilancio la conferma del reddito di cittadinanza aspramente criticata un anno fa? E sul debito – oggetto in primavera di una dura procedura d’infrazione – verrà davvero mantenuta una mora contrattata ad almeno due-tre anni?

In caso contrario – naturalmente se la democrazia elettorale sarà ancora funzionante – saremo già molto prossimi al “ridateci Salvini”: che certamente ha obbligato l’Europa a preoccuparsi di quanto accade in Italia. E se il governo giallorosso andrà in gol sarà comunque in parte merito dell’anno di ruvido pressing del leader della Lega. Se invece rimedierà autogol – come del resto i tre ultimi governi di centrosinistra – prepariamoci a un nuovo fuggi-fuggi dalle responsabilità: che certamente non potranno essere addossate a un giurista-avvocato sconosciuto agli italiani e mai da loro votato per guidarne un governo che operi realmente nell’interesse del Paese.