La Roma esonera Josè Mourinho e lo sostituisce con Daniele De Rossi. Una decisone che i Friedkin covavano ormai da tempo. I proprietari americani, dall’estate scorsa, vivevano da separati in casa col tecnico portoghese. Dopo averlo fortemente voluto, non sopportavano più le sue esternazioni, il suo protagonismo, il suo eccessivo romanismo. José per la Roma è stato totalizzante: allenatore, comunicatore, parafulmine, capro espiatorio, tifoso e molto altro ancora. Quante volte ha compattato l’ambiente (l’Olimpico sempre sold out), ha difeso la società, ha attaccato il “sistema”. Senza ricevere sostegno e neppure un grazie da parte della proprietà.



La Roma, i romanisti e Mourinho sono stati una cosa sola per due anni. Due finali Europee di fila, quando mai la Roma le ha vissute. E una coppa e mezza vinta, l’altra metà se l’è stata portata via l’arbitro Taylor. Ma la proprietà non ha detto nulla, nemmeno in quella occasione. Mourinho, il capo popolo, ha urlato, si è ribellato, ha battuto i pugni e sputato sangue, come l’ultimo dei tifosi.



I Friedkin sono dei grandi imprenditori del cinema, ma il calcio è un altro mestiere. Sono americani, uomini d’affari e si permettono di cacciare l’allenatore più titolato al mondo con una telefonata, senza rispetto. E comunicando la loro decisone alla squadra attraverso un comunicato stampa. Mi chiedo: da businessmen quali sono, si può maltrattare il proprio asset in questo modo?

Cari Friedkin, mi spiace dirlo, ma non ci avete capito nulla: il calcio è appartenenza, passione, sudore, impegno, gioia, delusione, lacrime e sangue. Non è un algoritmo. La Roma è un popolo. Bisogna viverci dentro e ascoltarlo per pensare di poterlo rappresentare. Avevate pensato in grande il giorno in cui avete deciso di catapultare su Roma un marziano come Mourinho. Anche grazie a lui avete portato nella Capitale due mostri come Lukaku e Dybala. Mosse da Oscar del cinema. Ma è stato come regalare champagne e caviale ai favelados senza però costruirgli delle case vere. I Lukaku e i Dybala fanno luccicare gli occhi dei tifosi ma da soli non fanno una squadra. Tolti loro, è il nulla, non ci sono altri campioni in rosa.



Siamo sicuri che un allenatore diverso da Mourinho avrebbe fatto meglio in questa situazione? Lo vedremo ora col povero De Rossi. Daniele non poteva dire di no alla chiamata della sua Roma. E’ stato costretto ad accettare. Ma da ragazzo intelligentissimo qual è, sa bene che razionalmente avrebbe dovuto rifiutare. La colpa non è sua ma dei Friedkin che lo stanno usando cinicamente come tappabuchi mediatico. E la fine più probabile per lui è che si brucerà. Se avessero creduto veramente in De Rossi lo avrebbero messo sotto contratto per 3 anni, in modo da aprire un ciclo. A prescindere da come andranno i prossimi 6 mesi. E invece che lasciarlo da solo, con un direttore sportivo dimissionario, gli avrebbero affiancato l’accoppiata Massara-Totti.

Il problema è che questi americani pensano ancora di poter portare a Roma un allenatore di livello mondiale, alla Conte. Ma dopo aver mancato di rispetto a un mostro sacro come Mourinho chi mai accetterà di lavorare per loro? E chi mai accetterà di prendere in mano una squadra che a causa del FFP non potrà operare sul mercato per i prossimi 3 anni?

Allora non valeva forse la pena rinnovare Mourinho e affidargli a fine anno un nuovo progetto con tanti giovani (e senza figurine)? Il tecnico portoghese, innamorato della Roma e di Roma, aveva già dato il suo assenso.

Non resta che sperare in un miracolo sportivo. De Rossi comincia la sua avventura a Roma, in casa, contro il Verona. Proprio come quel Luciano Spalletti, suo maestro, che il 13 gennaio 2016, tornò sulla panchina della Roma per sostituire Rudi Garcia. Anche lui debuttò in casa, in un Roma Verona che finì 1-1. Ma alla fine dell’anno riuscì a conquistare un posto in Champions. In quella Roma De Rossi ci giocava e ora spera di riuscire ripetere la stessa impresa da allenatore.