La notizia dell’accordo per la riqualificazione e il rilancio dell’Albergo dei Poveri a Napoli – il più grande edificio d’Europa con una facciata lunga 400 metri, cento in più della Reggia di Caserta per intenderci – è da accogliere con grande interesse non tanto per la novità dell’annuncio (sarà il centesimo sbandierato dalla politica), ma per la qualità di chi lo ha fatto: il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano e il Sindaco Gaetano Manfredi.
Nonostante appartengano a schieramenti diversi – di centrodestra il primo, di centrosinistra il secondo – si tratta di persone serie che sanno ben distinguere la propaganda dalla gestione e che se si sono accordate per investire finalmente i 100 milioni già stanziati e mai utilizzati sapranno anche dare seguito alle promesse. Almeno questo è il giudizio che si ricava dalle reazioni in città, tese a dar credito all’iniziativa abbandonando lo scetticismo classico.
Dunque, l’opera immensa di Ferdinando Fuga – chiamato a realizzare il progetto da Carlo III di Borbone nel 1749 – tornerà a vivere restituendo una funzione a ciascuna delle quasi cinquecento stanze che la compongono. Con senso pratico, piuttosto che prevedere una sola e forse impossibile missione, gli oltre 100mila metri quadrati dell’immobile saranno destinati a istituzioni diverse: università, biblioteche, musei.
L’unione di queste energie sarà la forza trainante dell’idea che per svilupparsi avrà anche bisogno di capitali privati e quindi di destinazioni capaci non solo di occupare spazio, ma di produrre reddito. Qui si dovrà lavorare molto alla ricerca di un equilibrio soddisfacente tra le ragioni della Cultura e quelle dell’Impresa. Da una parte la ricerca della più ampia partecipazione possibile, dall’altra l’esigenza del profitto per garantire la sostenibilità economica.
Qui si potrà valutare il grado di maturazione degli imprenditori napoletani, in prima battuta gli industriali, che saranno chiamati a contribuire al compimento della grande incompiuta. Come accade per il Duomo di Milano, ci vorrebbe un consesso di uomini e donne di buona volontà e portafoglio largo per garantire che gli sforzi non vadano perduti e che, anzi, tutto sia condotto e portato a termine a regola d’arte. Nei minimi dettagli.
Potrà essere questa una prova della ritrovata vocazione dell’antica capitale a saper fondere fantasia e concretezza per potersi legittimamente considerare e chiamare creativa generando ricadute positive sull’intera popolazione. È il mito del buon governo che si rinnova con tutta la suggestione emotiva che si porta dietro: nulla saprà condizionare i comportamenti più del buon esempio. Il successo produce altro successo.
Anche e forse soprattutto per questo il patto siglato in questi giorni a favore di telecamere e macchine fotografiche assume una particolare importanza. I tempi di esecuzione non potranno dilatarsi a dismisura per incapacità o capriccio del caso. E non tanto perché pressati dalle scadenze del Pnrr (comunque indifferibili), quanto piuttosto per mostrare che davvero si è capito che occorre cambiare passo quando in gioco c’è il benessere della collettività.
Il fermento culturale che da sempre caratterizza la città – in musica, letteratura, arte cinematografica, teatro, pittura e scultura – non ha mai trovato una cornice che ne potesse esaltare la qualità e la quantità. Proprio in queste settimane dell’argomento si sta occupando il blog Nagorà che s’interroga sulle strutture e gli strumenti di cui possono disporre oggi a Napoli gli artisti di ogni genere per veder meglio organizzata e valorizzata la propria offerta.
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