Nel messaggio inviato ai fedeli per celebrare l’avvento del Natale, il cardinale di Napoli Domenico Battaglia – don Mimmo come ama farsi chiamare e si firma – invita a non attendere la fatidica fine della nottata (che adda passà e non passai mai), ma a “restare vigili per scorgere i tanti segnali di luce che pure non mancano e da cui occorre ripartire per affrettare insieme l’aurora”.
La lettera per la nascita di Gesù segue di pochi giorni quella scritta e diffusa in occasione della festa dell’Immacolata e si sa che la Madonna dalle parti del Vesuvio è trattata con particolare affetto. Qui don Mimmo si rivolge alla città generalmente intesa come portatrice di gioia: non della gioia superficiale, specifica, ma di quella che deriva dalla certezza che oltre le nuvole c’è sempre il sole.
Il doppio invito, quindi, è a non cedere alla tentazione del fatalismo così familiare alla popolazione e a usare piuttosto la naturale disposizione della gente a superare anche le prove più difficili – mai con gli occhi tristi e il viso spento ma con decisa allegria e audace entusiasmo – per estirpare il “cancro mortifero” della camorra da un corpo che conserva nonostante tutto una grande carica attrattiva.
L’esito, naturalmente, non è scontato. E per realizzarlo c’è bisogno di una vera e propria mobilitazione prima degli animi e poi dei corpi. Insomma, occorre darsi da fare per offrire ai “piccoli”, ai più giovani e fragili, la prospettiva di crescere in un luogo “vivibile e sicuro” che non induca alla fuga verso lidi migliori almeno nella prospettiva delle soddisfazioni personali e professionali.
Don Mimmo continua a rivolgersi alla città come se fosse carne viva. E le chiede, parafrasando Paolo Sorrentino, di “non disunirsi” e di coltivare invece l’arte della condivisione per rispettare il proprio codice genetico che fa dell’incontro e del confronto una caratteristica universalmente riconosciuta. Parla di “convivialità delle differenze” il cardinale per ribadire la capacità di ascolto e mescolanza.
Ma la forza più grande, l’energia del riscatto, Napoli la deve trovare nella straordinaria bellezza che esprime in ogni vicolo e in ogni quartiere. Una bellezza “integrale” che non dev’essere e non è “un fatto di facciata” ma che “parte dal cuore dell’uomo” e, secondo l’insegnamento di papa Francesco, “arriva alla creazione e si traduce in scelte politiche, urbanistiche, ambientali”.
Indirizzando i propri sentimenti alla città, don Mimmo parla dunque al suo ceto dirigente. Lo fa esortando all’azione attraverso la persuasione morale laddove il suo predecessore Crescenzio Sepe tentò di riuscire indicendo nel 2011 addirittura un giubileo metropolitano per scuotere amministratori, imprenditori, professionisti, sindacalisti e lo stesso clero dal torpore che sembrava averli colti.
Molte iniziative furono messe in campo e sembrò che qualcosa davvero dovesse muoversi verso una nuova coscienza del compito delicatissimo che spetta ai detentori di ogni tipo di potere perché Napoli avesse diritto a recuperare il titolo di nobilissima per l’attenzione e la cura che fosse capace di mettere nei doveri dimenticati oltre che nei saperi e nei piaceri nei quali ancor oggi eccelle.
E torniamo sempre al punto di partenza come in un gioco dell’oca fatalmente truccato. Dove s’interrompe il flusso dell’energia positiva che tutti, e i turisti specialmente, avvertono con forza nonostante siano costretti a litigare per il caotico approccio dei taxi, a calcare strade disconnesse e cercare informazioni che non trovano mentre sfidano il traffico per intrupparsi sul lungomare?
Dove si arena la sagacia e la simpatia dei figli di Parthenope quando serve un certificato, si cerca un permesso o si rivendica un diritto? Perché il paradiso dei panorami e dei musei si trasforma nell’inferno dell’inciviltà dei comportamenti di chi si sottrae all’impegno, si rifugia nella furbizia e tradisce il suo mandato? Una volta erano di moda le sedute di autocoscienza. Ecco, forse, magari…
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