Questa storia è troppo anche per Napoli. Il Mattino la sta raccontando bene. Si stenta a credere che sia vera e invece è proprio così. Una scuola costruita dal Comune in una zona proibita, con vincolo paesaggistico, che adesso il Comune stesso deve abbattere per ordine della locale Soprintendenza che non può derogare alla legge alla quale deve a malincuore attenersi.
Ora al capezzale del malato – la procedura sballata alla base del caso che dalla sindacatura di Rosa Russo Iervolino, cominciata vent’anni anni fa, si è trascinato in modo inconcludente attraverso l’era di Luigi de Magistris per schiantarsi di botto sulla scrivania di Gaetano Manfredi – ci sono tutti gli attori che frattempo avrebbero dovuto risolvere la situazione.
C’è il nuovo sindaco, appunto Manfredi, armato di pazienza e buona volontà che vorrebbe evitare lo scempio. C’è il nuovo soprintendente, Luigi La Rocca, che ha firmato la richiesta di demolizione facendo però sapere di essere molto dispiaciuto ma l’atto era dovuto. C’è il ministro ai Beni culturali, Dario Franceschini, che ancora non si è pronunciato e dal quale si attende il miracolo.
Sullo sfondo, le famiglie dei 400 ragazzi per i quali il manufatto era stato concepito – quelli dell’epoca si saranno nel frattempo iscritti all’università, staranno lavorando o ingrossando le file dei disoccupati – e la Procura della Repubblica che di fronte a una notizia di reato farà valere il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale per aprire una bella inchiesta a caccia dei colpevoli.
Eh sì, perché l’edificio bianco e basso (pure bruttino, in verità) è costato 1,6 milioni concessi dalla Regione e ora bisogna capire in caso di distruzione del bene chi deve rispondere del danno economico procurato alla collettività. Insomma, se da una parte si stanno cercando le ragioni di una provvidenziale sanatoria, dall’altra si profila l’apertura di un’indagine con il consueto strascico.
In realtà, tutti gli attori concordano sulla necessità di cercare, e magari trovare, una soluzione che eviti l’abbattimento dell’immobile e la conseguente distruzione di risorse. Ma gli stessi appaiono ingabbiati, impossibilitati a compiere una scelta vietata da regole che non ammettono deroghe. L’imbarazzo è generale, lo scuorno evidente, si cerca l’alzata d’ingegno.
Qualunque sarà l’esito di questa vicenda, sarà difficile venirne fuori con onore. Occorrerà trovare un escamotage dignitoso, un cavillo che superi il rigore della norma, un trattamento eccezionale reso possibile dall’assoluta particolarità del problema. Si dovrà fare ricorso alla tipica e tradizionale pensata “alla napoletana”, a qualcosa che può avere cittadinanza soltanto qui.
La storia è esemplare perché illustra come non si devono fare le cose. Una lunga filiera di processi amministrativi e rimbalzi di responsabilità che hanno condotto un intero convoglio di decisori in un vicolo cieco. Solo per un accidente – ad ascoltare le parole dei protagonisti – si è accesa la lampadina. Giusto in tempo prima di andare a sbattere senza nemmeno sapere il perché.
La circostanza più incredibile, forse la più inquietante, è che – così pare – tutto sia accaduto in perfetta buonafede. Frutto di leggerezza, distrazione, sciatteria… Malattie terribili dalle quali occorre guardarsi come da quelle in apparenza più pericolose che abbiamo imparato a conoscere in questi tempi difficili. Anche in questo caso occorre trovare il vaccino giusto.
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