Ci risiamo. Parte qualche novità in tema bancario, di provenienza europea, e si scatena il putiferio. Associazioni di categoria, siti internet, stampa e non pochi “autorevoli” esponenti del mondo economico o produttivo lanciano l’allarme su qualcosa di gravissimo che sta per abbattersi su un Paese già in ginocchio, per colpa del Covid ovviamente! E dei tanti nemici che in Europa, si sa, minacciano la povera onesta Italia. Il tema è quello delle nuove regole sul default, cioè il meccanismo che determina il momento in cui bisogna considerare insolvente il cliente. Questa volta possiamo citarci. Il Sussidiario si è occupato di queste nuove regole il 7 ottobre 2019, 15 mesi fa. Il Regolamento che le prevede è il 171 del 19/10/2017, 38 mesi fa.



Le nuove regole non riguardano solo le imprese, che hanno voce per gridare, ma anche privati e PMI. Vediamole. Le aziende risulteranno insolventi se maturano un arretrato oltre 90 giorni, superiore a 500 euro, ma pari ad almeno l’1% dell’esposizione verso la banca. Privati e piccole imprese se l’arretrato sarà di 100 euro, per 90 giorni e sempre purché superiore all’1% del totale delle esposizioni verso la banca.



Questo dell’1% è un elemento trascurato dalle urla manzoniane. Perché l’insolvenza per definizione presuppone aver ricevuto un affidamento cioè mutui, prestiti, anticipi commerciali, fido di conto corrente. Se l’arretrato supera 90 giorni ed è pari all’1% dell’esposizione verso l’intermediario, allora scatta la classificazione. Più è alta l’esposizione verso la banca (ricordiamo che esposizione elevata vuol dire essere stati prima ritenuti meritevoli di ampia fiducia), più si alza l’asticella dell’importo arretrato che, protratto, dopo tre mesi genera la squalifica.

Questa soglia era il 5% prima della modifica, non il 20% o il 30%. E nemmeno il 10%. Per dire che certo è un irrigidimento e certo è un momentaccio brutto, ma non stiamo parlando delle porte dell’inferno che si aprono. E soprattutto bisogna con franchezza considerare che la novità morde la banca, non il cliente. Perché la classificazione di insolvenza (che ha poi le sue gradazioni) sposta quella relazione commerciale nella palude dei rischi che obbligano la banca a più accantonamenti. La bloccano, la appesantiscono. Gli elementi che pesano nella valutazione del cliente sono tanti altri, il fatturato, il reddito, i flussi di cassa, i bilanci, i business plan, i settori di pertinenza e solo in coda – ormai – il patrimonio. Non sarà certo l’1% di arretrato, protratto per 90 giorni a svelare le carte della condizione di quel cliente. E della sua prospettiva.



Inoltre, tanto per fare corretta informazione, non cambiano le regole relative alle Centrali rischi. Cioè la Banca d’Italia (per i finanziamenti superiori a una certa soglia) e la Crif, che registra tutti gli eventi che riguardano l’accesso al credito del cliente. Così come, ha dovuto precisarlo persino la Banca d’Italia con un apposito comunicato stampa, non è vero che il cliente non può andare fuori fido e coprire quell’arretrato, se ve ne sono le condizioni. Le stesse che c’erano prima. Perché ricordiamo che sia le centrali rischi che “il conto in rosso” non determinano conseguenze automatiche, forzate, obbligatorie.

La banca o l’intermediario devono considerare tanti fattori, quelli detti prima a cui si aggiunge la loro prospettiva industriale. Gli obbiettivi di mercato, il target di interesse, il taglio della propria attività. Perché banche e intermediari sono cambiati e stanno cambiando. Più o meno fanno ancora tutte tutto. Ma si vanno delineando specializzazioni e interessi diversi. Ed è in questo quadro che conta e che rileva la novità. Che le spingerà verosimilmente a raffinare sia le proprie proposte commerciali che gli obbiettivi di mercato, gli spazi di interesse.

Il vero tema che si apre piuttosto, anzi che si riapre nel 2021, è quello delle sofferenze, cioè delle posizioni in cui è conclamato lo stato di irreversibile insolvenza. L’enorme lavoro fatto negli ultimi anni ci vede infatti ancora in una condizione di fragilità perché – secondo lo studio di un noto leader mondiale della revisione contabile – siamo comunque a un livello circa doppio della media europea. Con il macigno, che a esso si collega, della burocrazia e della giustizia che in Italia determinano un effetto leva disastroso. Perciò l’inevitabile ricrescita prevista e prevedibile delle sofferenze, quando l’anestesia emergenziale sarà finita, qui in Italia incontrerà un livello ancora troppo elevato rispetto agli altri e un “Paese fallito” come spiega in queste ore sul Corriere il pacato e moderato Sabino Cassese.