Di questi tempi la discussione su temi importanti che segnano la nostra vita politica, economica e sociale è spesso caratterizzata dalla sottolineatura esclusiva – o quantomeno prevalente – della loro dimensione economica: quanto costa, dove si trovano i soldi, quali sono le ricadute…

Pur non essendo la dimensione economica né sufficiente per affrontare tali temi, né tantomeno esauriente, essa rimane una dimensione necessaria: sarebbe infatti per esempio grave non pensare allo spreco di risorse e non assumersi responsabilità in questo senso. Oppure, si pensi alla rilevanza economica della stessa sostenibilità, nel tempo, di qualunque processo di sviluppo; o all’attenzione che si sta prestando al tema dell’economia “circolare” dello sviluppo (cioè del riuso di tante risorse fisiche, energetiche e ambientali, e persino produttive); al “valore” culturale di certi eventi, della qualità della vita, delle bellezze paesaggistiche e turistiche di cui è ricco il nostro Paese; ai costi e ai ricavi che ogni cambiamento porta con sé.



Tuttavia questo approccio – e lo afferma un economista – rischia di essere fortemente riduttivo, perché non si tiene conto della totalità dei fattori in gioco, del significato e degli scopi di un’azione; e tantomeno del suo “valore”, che non può essere ridotto agli aspetti “economicistici” della realtà.

Alcuni esempi di questi aspetti importanti della vita di oggi e della necessità di non trattarli solo in un’ottica “economicistica” possono aiutare a comprendere il peso culturale di questo approccio.

Il primo esempio può essere portato al dibattito sollevato in occasione dell’assegnazione a Milano e Cortina delle Olimpiadi invernali del 2026. “Prima” dell’assegnazione la discussione si è incentrata su quanto sarebbe costata, sulle ricadute economiche, se non sarebbe stato preferibile destinare energie e risorse ad altri obiettivi più urgenti. “Dopo” l’assegnazione, chi era contrario ha mantenuto le sue obiezioni e chi era favorevole non ha cessato di celebrare il “successo”. Il valore di aver vinto questa competizione va peraltro ritrovato anche in altri aspetti non economici: la ritrovata credibilità e visibilità internazionale – non solo lombardo-veneta ma anche italiana – apportata da questa assegnazione; la legacy, cioè l’eredità che rimarrà al termine delle Olimpiadi non solo limitata alle infrastrutture necessarie per realizzarle; la testimonianza di quanto sia efficace l’unità e la collaborazione tra vari soggetti istituzionali quando si vuole raggiungere un obiettivo. Se guardiamo alle conseguenze di un simile episodio – l’Expo assegnato a Milano nel 2015 – ci rendiamo subito conto di quanto questi elementi non solo economici abbiano avuto peso nella ritrovata fiducia (almeno di una parte) del Paese quando si decide di intraprendere una sfida coraggiosa e nient’affatto scontata.

Un secondo esempio è ancora più denso di significato: riguarda il dibattito sulle problematiche demografiche del Paese. I termini della discussione, da parte degli “indifferenti” al problema, sembrano giustificare il calo della natalità e sulla sua ineluttabilità su argomentazioni che riguardano il problema del lavoro femminile e sulla difficile compatibilità tra lavoro e maternità; oppure sui costi implicati dalle “strutture” necessarie a prendersi cura dei bambini (asili nido e affini). Da parte di coloro che sono più sensibili al problema, invece, si argomenta essenzialmente che senza giovani cala inevitabilmente la competitività dell’Italia nei confronti di altri paesi emergenti. Ma i figli non sono un problema prevalentemente economico. La trasmissione intergenerazionale di valori culturali, educativi e sociali trascende l’economia e riguarda la stessa sopravvivenza di una civiltà: dimostrarsene indifferenti è segno di una cultura sempre più ripiegata su un individualismo dilagante, sulla mancanza di coraggio e sulla crescente indisponibilità a mettere in gioco il proprio presente, senza farsi carico del futuro (che comunque ci sarà e di cui dovremo quindi farci carico!).

Il terzo esempio, ma l’ordine è puramente casuale, riguarda il dibattuto problema se realizzare il traforo del Frejus – la ormai cosiddetta Tav – o ritornare su decisioni già prese, sulla base di ragionamenti dei costi che esso comporta. Delimitare il tema a discutibili analisi costi/benefici, come si è fatto riduttivamente, segnala che il problema economico tende a essere esauriente. Ma non ci si è chiesti quanto è cambiata la vita – produttiva, sociale e relazionale – quando è stata introdotta nel nostro Paese (come in altri) una innovazione nella mobilità come l’alta velocità tra Milano e Roma, tra Milano e Torino, tra Milano e Bologna e come la cambierà tra Napoli e Bari. Il valore di un maggiore “inserimento” in Europa del nostro Paese, attraverso il traforo che ci legherà alla Francia, non è solo economico, legato alla mobilità delle persone e delle merci, ma riguarda l’interesse che abbiamo, mantenendo la nostra identità nazionale, a partecipare a un processo di costruzione e integrazione internazionale che è al tempo stesso culturale, sociale e istituzionale.

Sembra calzante anche l’esempio del dibattito sull’Autonomia regionale, che pare concentrato quasi esclusivamente sulla rivendicazione economica da parte delle Regioni del Nord di “scrollarsi di dosso” le inefficienze delle Regioni del Sud; e, da parte delle Regioni del Sud, di non essere depauperate di trasferimenti di risorse essenziali per i loro bilanci. Non sembrano invece emergere altri temi: quello della solidarietà (e non del solidarismo coatto); quello della sussidiarietà – quantomeno verticale, se ancora non orizzontale -; quello di una seria ricerca dell’identità nazionale nell’indiscutibile diversità delle sue parti.

Infine, ma gli esempi potrebbero continuare, pensiamo a quanto economicismo è presente nei dibattiti sull’istruzione e la scuola, sulle migrazioni, sulle manutenzioni e la sicurezza, sull’ambiente e sul risparmio idrico ed energetico.

Tutti gli esempi fatti e quelli ora solo evocati – che esigerebbero ben altri approfondimenti – ci dicono che il dibattito (scarso) di oggi sulle questioni fondamentali che riguardano il presente e il futuro del nostro Paese non può esimersi – per amor di realismo, di verità e di significato – dall’allargare la mente e il pensiero alla complessità dei fattori in gioco, sia da parte di coloro che le decisioni devono prendere, ma anche da parte di coloro che di queste decisioni sono i destinatari, per sentirsi ed essere più protagonisti del proprio presente e del proprio futuro.