La sorpresa mi ha colto quando stavo assistendo a una semifinale di canoa di queste Olimpiadi 2024 di un mio concittadino, Carlo Tacchini (poi medaglia d’argento nel C1 500). A fianco della coppia azzurra c’era infatti una canoa bianca che il telecronista ha brevemente citato come “russa”. Russa? Che fine hanno fatto i russi alle Olimpiadi?
Non ci sono, almeno ufficialmente, e mancano dai Giochi ormai da otto anni. A Tokyo fu una lunga e combattuta questione di doping, con il CIO che – allargando a tutti la presunta “positività” riscontrata solo su alcuni di essi – decise di non ammettere tutti gli atleti russi. Si raggiunse poi un compromesso considerando parte della squadra russa ammessa, ma “come rappresentanti del CIO” e non russi veri e propri.
Questa volta a Parigi c’è stata invece intransigenza assoluta e gli atleti che hanno voluto comunque venire da Russia e Bielorussia sono stati ammessi solo “a titolo personale”, senza inno, bandiera, addirittura non conteggiandoli neppure nel medagliere ufficiale.
Non mi sembra un grande spirito olimpico: cosa c’entrano questi atleti, personalmente, con l’invasione dell’Ucraina e – secondo lo stesso metro – quante altre nazioni allora dovrebbero essere escluse? Eppure russi e bielorussi, i “cattivi”, sono diventati i paria dei Giochi e se vincono anche la medaglia d’oro – come Ivan Litvinovich nel tuffi – non risultano neppure nel bilancio ufficiale redatto dal Comitato olimpico internazionale. Tra l’altro la Bielorussia non ha invaso l’Ucraina e quindi, tecnicamente, la scelta del CIO è stata squisitamente politica.
Per esempio, “ufficialmente” non si sa neppure contro chi hanno vinto le nostre Sara Errani e Jasmine Paolini nella finale del doppio femminile di tennis.
Le avversarie erano le giovani russe Mirra Andreeva e Diana Snaider, trentasei anni in due, due ragazzine che sembravano abbandonate e sperdute in un catino pieno di gente che tifava contro di loro in un modo assurdo e sicuramente poco sportivo, cui è seguita una premiazione in incognito.
Atlete ed atleti che non hanno potuto nemmeno partecipare alla cerimonia di inaugurazione dei Giochi: forse avrebbero turbato le candide coscienze olimpiche? Atleti apolidi, quindi, raccolti con la sigla dell’AIN (che sta per “Atleti individuali neutrali”), una definizione che personalmente mi sa tanto di razzismo al contrario anche perché è dura gareggiare se sono tutti contro di te.
Anche a Tokyo i russi non avevano preso parte ufficialmente ai Giochi, ma allora il CIO aveva appunto adottato un compromesso, facendo gareggiare oltre 300 atleti russi sotto la sigla ufficiale del Comitato Olimpico. Avevano raccolto 71 medaglie tra le quali 20 d’oro, questa volta invece è andata diversamente: per quegli atleti che avevano comunque raggiunto i requisiti olimpici di partecipazione e non si potevano proprio eliminare se volevano comunque partecipare, è stata chiusa ogni porta ufficiale: sono diventati dei fantasmi.
Sono rimasti così senza la bandiera del proprio Paese, senza inno. Quando ha vinto Litvinovich l’unico suono è stato quello di una marcetta inventata all’ultimo momento dal CIO per rappresentare i membri dell’AIN.
Inoltre, come sanzione aggiuntiva alla partecipazione individuale (avete capito bene: “colpevoli” di partecipare ai Giochi!), è stata comunque decisa la loro non-menzione nell’albo d’oro olimpico dei premiati.
Va tenuto conto – ma al CIO non lo hanno proprio capito – che questi atleti sono comunque degli eroi, perché per partecipare ai Giochi sono andati perfino contro gli inviti pressanti del Cremlino, e dopo che intere federazioni sportive russe hanno comunque boicottato i Giochi olimpici.
Così, anziché essere premiati per il loro coraggio (anche perché sono venuti a Parigi senza accompagnatori, allenatori, massaggiatori o giudici) trattandosi di veri e propri “obiettori di coscienza”, questi atleti comunque arrivati ai Giochi non solo non sono stati lodati, ma pure discriminati sia in patria che ai Giochi e di loro non ne ha parlato quasi nessuno. Sarebbe questo lo “spirito olimpico”?
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