Ancora una volta anche la sfilata di apertura delle Olimpiadi di Parigi è stata l’occasione di un’epica battaglia politico-culturale, di basso livello, di cui non si sentiva proprio il bisogno in questo periodo.

La Francia, facendo sfilare le delegazioni sportive sulla Senna (idea geniale), ha voluto, in qualche modo, celebrare anche sé stessa. E qui come dice l’innominabile proverbio milanese che nella sua versione edulcorata suona così: “Quando il “potere” sale sul trono o puzza o fa dei danni”, sono cominciati i guai.



Celebrare la Rivoluzione Francese, quella di Libertè, Egalitè e Fraternitè, valori ampiamente compatibili con le Olimpiadi, con l’immagine di una Maria Antonietta col capo mozzato, è stata proprio una bella pensata?

Questo è sembrato il trionfo di una giustizia vendicativa, quella che va di moda oggi. Quella che vuole mozzare la testa al nemico che non la pensa come te. Quella che è il segno più grande del disprezzo della ragione, il cui trionfo la Rivoluzione voleva celebrare.



C’è poi stato l’episodio controverso di questa presunta Ultima Cena in versione LGTb+ che ha scatenato le maggiori polemiche.

Gli autori della scena hanno precisato che non intendevano riferirsi al capolavoro di Leonardo, ma se in questo senso l’hanno intesa milioni di spettatori, non solo sovranisti, compresi i vescovi francesi, forse, forse, qualche ambiguità, forse, forse, anche voluta si è pure manifestata.

Naturalmente le polemiche che sono seguite, hanno aizzato lo scontro tra tradizionalisti e un nugolo di difensori della, propria, libertà di espressione che hanno tacciato i rivali di omofobia ed ignoranza.



Io che non sono omofobo, e neanche tanto ignorante, mi domando perché nella rappresentazione della storia della cultura francese non si sono viste quelle fantastiche cattedrali francesi che spesso hanno rubato l’immagine ai ciclisti persino nelle trasmissioni del Tour de France.

La Francia di ieri e di oggi non è solo cattolica, ma la Pulzella d’Orleans o i Paladini di Carlo Magno, per non parlare dei grandi santi della carità, come san Vincenzo de’ Paoli, non mi sembra che avrebbero avuto meno diritto di essere rappresentati di altri personaggi che abbiamo visto.

Va bene, basta lamentarsi. Accontentiamoci, e non è poco, della straordinaria apparizione di Celine Dion che ha cantato “Hymne à l’amour” dalla Tour Eiffel.

Forse non tutti sanno che la canzone fu dedicata dalla grande Edith Piaf, al suo amante, il pugile Marcel Cerdan, perito in un disastro aereo di ritorno dagli Stati Uniti, dove aveva cercato, inutilmente, di ottenere il titolo di campione del mondo dei pesi medi.

Commoventi le ultime parole della canzone, che, forse, non tutti gli spettatori hanno potuto apprezzare: Se un giorno la vita ti ghermisse a me/ Se tu morissi trovandoti lontano da me/ Poco importa se tu m’ami/ Perché anch’io morirei/ Noi avremo per noi l’eternità/ Nell’azzurro di tutta l’immensità/ Nel cielo, niente più problemi/ Amore mio lo credi quando si ama/ Dio riunisce quelli che si amano.

 

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