Tra le tante categorie in cui può essere diviso il genere umano una delle più nette riguarda la modalità con la quale ci si procura da vivere. Semplificando, se dovendo lottare ogni giorno per la conquista del proprio spazio e quindi del proprio reddito o se in qualche modo garantiti e dunque disinteressati a ogni forma di impegno. Con le dovute eccezioni, presenti anche in questo particolare campo, la distanza che esiste tra il lavoro privato e quello pubblico.



Se ce ne fosse stato bisogno, una netta rappresentazione del fatto si è avuta all’assemblea della Cida, la Confederazione italiana dei dirigenti d’azienda presieduta da Stefano Cuzzilla, alla presenza di ben tre ministri come Gilberto Pichetto Fratin (Ambiente ed Energia), Paolo Zangrillo (Pubblica amministrazione) e Aldolfo Urso (Imprese e Made in Italy). Al centro del dibattito i valori di merito e cooperazione per una società più competitiva.



Particolarmente illuminante l’intervento di Zangrillo che, costruito con grande abilità per mettere in evidenza tutti gli spazi di miglioramento possibili, ha mostrato controluce la grande debolezza operativa del ministero e dei suoi dipendenti chiamati come tutti sanno a rinnovare le proprie competenze per essere all’altezza delle sfide dei tempi – e accompagnare le due transizioni cardine, digitale e ambientale – e pur così preoccupati del cambiamento e resistenti.

D’altra parte, scoprire che il tempo medio dedicato alla formazione professionale copre un giorno lavorativo l’anno e che sarebbe un grande traguardo assicurarne tre è un pugno nello stomaco anche per i più disillusi sulla capacità del settore pubblico di diventare amico della crescita piuttosto che suo volontario o meno avversario. Chi ha la certezza della paga a fine mese non si dà tanta pena per raggiungere obiettivi che richiedono un po’ di sforzo.



Si spiega anche così la scarsa capacità competitiva del Paese nonostante i risultati lusinghieri raggiunti dal comparto industriale privato da anni sottoposto a vere e proprie rivoluzioni – la più famosa delle quali va sotto il nome di Impresa 4.0 – indispensabili a non perdere terreno nei confronti dei concorrenti internazionali. Insomma, una cosa è quello che avviene dentro i cancelli delle fabbriche, un’altra ciò che si osserva al loro esterno.

Si deve a questa evidente zoppìa l’enfasi messa dalle autorità europee sulla necessità delle riforme strutturali che dovrebbero riequilibrare un sistema, quello italiano, che ha richiesto e ottenuto dall’Unione 200 miliardi tra prestiti e finanziamenti a fondo perduto a valere sul Next Generation Eu attraverso il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Una gran massa di soldi che, ben usati, dovrebbero attivare molti altri capitali interni ed esteri.

A conferma dello stato semi comatoso in cui versa il nostro apparato pubblico, sempre con l’avvertenza delle dovute eccezioni, c’è la rappresentazione di quel che si può realizzare in regime commissariale – per il buon funzionamento delle zone economiche speciali, la ricostruzione post terremoto, gli interventi a valle di una alluvione – e dunque in deroga alle norme ordinarie. Come ammettere che seguire le leggi vigenti porta alla paralisi.

L’esperienza dei dirigenti d’azienda insegna che per condurre un gruppo al successo occorre stimolare lo spirito di collaborazione e riconoscere il merito. Su questo Cuzzilla ha molto battuto nella sua relazione ben sapendo di toccare un nervo dolente della società di cui si sente attore come massimo esponente di un’associazione influente e numerosa. Forse per accelerare il percorso sarebbe il caso di cominciare a punire il demerito.

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