Nei prossimi quattro mesi Fabio Panetta, designato ieri dal Consiglio dei ministri governatore della Banca d’Italia, reciterà contemporaneamente tre ruoli.
Il primo è quello svolto negli ultimi tre anni: “uno fra sei” nel comitato esecutivo Bce, compresa la presidente Christine Lagarde. La vera stanza dei bottoni della politica monetaria dell’Eurozona: a ricoprire il seggio, Panetta, lasciato libero dal past president Mario Draghi. Per la cronaca: ieri mattina Panetta ha regolarmente presieduto la prima sessione del Forum annuale della Bce a Sintra, in Portogallo. E perderebbe tempo chi cercasse, da parte del neo-governatore Bankitalia, una sola inflessione di voce dissonante dalla linea istituzionale espressa ieri da Lagarde sul prosieguo della politica di rialzo attento dei tassi d’interesse in funzione anti-inflazione.
Da oggi, in ogni caso, Panetta ricopre “in pectore” un ruolo solo apparentemente meno importante: “uno fra venti” governatori membri del Consiglio generale della Bce. È l’organo deliberativo a Francoforte: quello che usualmente ratifica le decisioni preparate dall’esecutivo che, pochi minuti dopo, il presidente comunica e spiega in conferenza stampa. Ma non tutti i venti membri del “club” sono uguali. Può capitare che un governatore si ritrovi in minoranza ma il suo “niet” pesi moltissimo. È stato il caso esemplare di Jens Weidmann, il numero uno della Bundesbank: per anni ha detto “nein” alla politica monetaria espansiva sostenuta da Draghi, regolarmente approvata a maggioranza. Panetta stesso promette di essere un voto “che vale più di uno”. Sono pochissimi i casi di un banchiere centrale nazionale che abbia operato sia nell’esecutivo Bce sia – com’è stato per Panetta – nell’“altra metà del cielo” a Francoforte (il consiglio di supervisione bancaria, oggi presieduto da Andrea Enria). A differenza dello stesso Draghi – e dell’uscente Ignazio Visco in Via Nazionale – Panetta conosce ogni angolo, sia di Palazzo Koch sia dell’Eurotower. Lagarde non ha mai lavorato un giorno alla Banca di Francia ed è stata paracadutata in Bce dal Fondo monetario internazionale, dov’era approdata dal governo francese.
In Bankitalia Panetta è entrato quasi da neolaureato e ha seguito l’intero cursus interno, che non ha mai cessato di essere una scuola d’eccellenza. È stato alla guida del Servizio Studi, il settore più prestigioso. Ha guidato la nevralgica vigilanza bancaria e infine quella assicurativa (da direttore generale è stato presidente dell’Ivass). Il suo ritorno al piano nobile di Palazzo Koch ripristina in pieno una tradizione unica di “civil service” italiano, per diverse ragioni entrata in crisi da quasi un trentennio, dopo l’uscita di Carlo Azeglio Ciampi, prima premier e ministro del Tesoro “dell’euro” e quindi presidente della Repubblica.
Ministro “ombra” dell’Economia e delle Finanze, sarà forse il meno visibile e il più complesso dei ruoli di Panetta “trino”. È noto che la premier Giorgia Meloni l’avrebbe voluto al Mef nella squadra di governo. La designazione – inusualmente – anticipata a Bankitalia suona com una “piano B”: la decisione, indubbiamente abile, di una premier che si sta ritrovando a giocare una fetta importante della propria leadership interna ed esterna sul Mes e sull’“atterraggio” dei nuovi parametri economico-finanziari. Non c’è dubbio che la competenza tecnica, l’autorevolezza e le relazioni di Panetta sono parte della risposta “scommessa” da Meloni di fronte alle sfide del momento: finanziarie-monetarie o politico-istituzionali tout court.
“Scommessa nella scommessa” è l’aver liberato un seggio che l’Italia ha ricoperto nell’esecutivo Bce fin dal primo giorno. Il rischio che la prassi non venga rispettata ora nel rimpiazzo è altissimo: almeno fino a che il governo Meloni non avrà ottenuto il via libera al Mes dal suo Parlamento. Il compito di sbrogliare la matassa è tutto politico e tutto in capo alla premier. Però non è certo banale che Meloni, ieri, abbia chiamato nella “sua” amministrazione l’euro-tecnocrate italiano più senior in Europa.
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