La riforma Fornero – perno e simbolo dell’austerity italiana recente – fu il primo atto del governo Monti, appena entrato in carica, nell’eccezionale stagione autunnale del 2011. Con un passaggio altrettanto eccezionale, il neo-premier era stato preventivamente legittimato come senatore a vita dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, e il suo governo ebbe una fiducia parlamentare plebiscitaria, “di emergenza nazionale”.
Un anno dopo l’esecutivo si dimise, Monti si candidò alla testa di Scelta Civica – con qualche sopracciglio alzato fra i costituzionalisti – e registrò un inequivocabile insuccesso al voto del febbraio 2013. L’Italia ebbe di nuovo un governo con fiducia parlamentare soltanto a fine aprile, sotto la guida di Enrico Letta. Fino ad allora l’amministrazione Monti rimase in carica – come da prassi costituzionale – per il disbrigo degli affari correnti. Di quella stagione – naturalmente – non si ricordano provvedimenti di straordinaria amministrazione: tanto meno del peso del decreto “salva Italia” del dicembre 2011.
Otto anni dopo, una procedura d’infrazione per debito eccessivo – adottata per la prima volta dalla Ue in 62 anni di storia, nei confronti di un Paese-membro fondatore e seconda potenza industriale d’Europa — è stata attivata da un esecutivo Ue formalmente scaduto, tre giorni dopo il voto democratico per l’elezione del nuovo Europarlamento. L’esito elettorale del 23-26 maggio ha visto netti arretramenti delle forze politiche tradizionalmente dominanti a Strasburgo (Ppe, di cui è espressione Jean Claude Juncker, e Pse, cui si riferisce il commissario Pierre Moscovici).
Contestualmente, sono uscite indebolite le leadership di Francia e Germania, king maker della commissione Juncker. Quest’ultima continua tuttavia, nel frattempo, a condurre con modalità serrate e inflessibili una procedura tecnocratica contro l’Italia, mentre le procedure della democrazia istituzionale europea sono entrate in una fase tumultuosa – e particolarmente opaca – di trattative fra cancellerie, partiti nazionali, lobby disparate.
Il presidente (uscente) del Consiglio Ue, il polacco Tusk, conta che al vertice Ue di domani venga messo sul tavolo “un pacchetto di nomi” per il nuovo organigramma Ue (Europarlamento, Esecutivo, Consiglio, Bce). Ma non sono pochi quelli che pronosticano un summit a vuoto: forse il primo di una serie.
In questa prospettiva (forse non sgradita ad Angela Merkel e a Emmanuel Macron, entrambi in difficoltà in casa e non più in sintonia fra loro) la prorogatio dell’esecutivo Juncker potrebbe continuare, fors’anche fino al 2020. E con essa – vi sono pochi dubbi – anche la procedura d’infrazione contro l’Italia. La quale più che essersi isolata – come sostengono per primi i media italiani – risulta con tutta evidenza isolata dai partner europei in crisi.
Né può stupire che – in questo quadro – Roma venga tenuta sotto pressione da una procedura d’infrazione che ogni giorno di più assume profili di abuso istituzionale e di surrealtà rispetto ai princìpi democratici dell’intera “costituzione materiale” europea.
Al tema si è visto costretto ad accennare – a denti stretti – lo stesso Monti, domenica sul Corriere della Sera. Ma l’economista bocconiano non ha più da tempo responsabilità istituzionali. Il premier in carica è Giuseppe Conte, peraltro un giurista: non ha nulla da dire (come premier e come giurista) sul peculiare funzionamento della “macchina” europea riservato all’Italia?
Al netto del massimo organo di sovranità politica – il Consiglio dei capi di Stato e di governo che si riunisce domani – in Europa esiste una “magistratura di ultima istanza”: si chiama Corte di giustizia e ha sede in Lussemburgo. Perché l’Italia non denuncia sul piano legale la procedura d’infrazione della Commissione? E poiché l’Italia pullula di costituzionalisti – molti nella stessa Alta Corte nazionale – sarebbe interessante conoscere nel frattempo il loro punto di vista: che sarebbe autorevole anche se espresso in via informale.
Pochi mesi fa il presidente della Corte costituzionale, Giorgio Lattanzi, non ha esitato a rilasciare una lunga intervista a Repubblica, per polemizzare in tempo reale con il governo sulla stretta all’accoglienza dei migranti. Lattanzi ha affermato – in un’intervista, non in una sentenza – che la Carta italiana “è uno scudo per i più deboli, siano italiani o stranieri”. Cosa ne pensa ora Lattanzi della procedura d’infrazione contro l’Italia? La ratio, la costruzione legale e ora la concreta applicazione tecnocratica del meccanismo rispondono o no – secondo lui – allo spirito, alla lettera, alle interpretazioni di ciò che chiamiamo “costituzione europea? Come avrebbe valutato Lattanzi una riforma Fornero approvata per decreto dal governo Monti in proroga tecnica dopo il voto 2013? Sarebbe stata aderente a un’architettura democratica una regola/prassi che avesse consentito a Monti di governare reiterando decreti straordinari in attesa di un governo legittimato in Parlamento?