Anche nella giornata di ieri il caso Pisa ha monopolizzato la cronaca politica nazionale. È probabile che già oggi l’attenzione si riduca rapidamente, per lasciar spazio all’esito del voto in Sardegna. E non è affatto escluso che avvenga lungo una traiettoria narrativa unica, originata dagli scontri di Pisa per approdare a una “rivolta democratica” nell’isola che ha dato i natali ad Antonio Gramsci. Il tutto in sorvolo radente sulle urne aperte (a proposito: il presidente della Repubblica Sergio Mattarella si è alla fine premurato di chiamare la premier Giorgia Meloni di rientro da Kiev dopo essersi lamentato direttamente con il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi: un passo, quest’ultimo, di ritualità quanto meno discutibile, anche perché compiuto in un sabato pre-elettorale da un presidente Pd nei confronti di un governo di centrodestra, su una questione politicamente sensibile).
Nel diluvio mediatico di prese di posizione – tutte o quasi contro “i manganelli della polizia” e a favore dell’intervento “democratico” del Quirinale – i grandi assenti sono stati comunque proprio gli studenti manganellati. Un quotidiano nazionale progressista come Repubblica è corso invece a lanciare in prima pagina un’allarmatissima intervista al costituzionalista Gustavo Zagrebelsky, preoccupato di collegare subito i fatti di Pisa al progetto di riforma del premierato; forse non accorgendosi di alimentare così lui stesso qualche “fumus” di strumentalità nelle polemiche su Pisa.
Nessuno ha invece invitato le “Sardine di Pisa” in qualche talk show, né aperto loro una pagina di quotidiano o un web-salotto live. Nessuno ha chiesto loro se hanno un leader come quattro anni fa Mattia Santori per le Sardine doc, quelle bolognesi. Il giovane prodiano ebbe per un paio di mesi una visibilità mediatica superiore a quella già alta di Chiara Ferragni e Fedez. Tutti, alla vigilia del voto regionale 2020 in Emilia-Romagna, volevano ascoltare Santori ripetere gli stessi slogan: “Noi stiamo per Bonaccini e Schlein contro Salvini; noi siamo con Liliana Segre contro l’odio fascista”. Perché nessuno ha chiesto alle “sardine di Pisa” perché erano in piazza, anche a costo di sfidare i manganelli della polizia?
È lecito pensare che nessun organo di informazione abbia voluto aprire neppure un pertugio a volti e voci che avrebbero suggerito questi titoli virgolettati: “Siamo contro Israele e appoggiamo i palestinesi dei Territori; siamo con Ghali e con la Corte internazionale di giustizia quando temono che a Gaza si stia consumando un genocidio”.
Forse qualcuno avrebbe aggiunto: non abbiamo paura di essere sospesi per un semestre com’è capitato in qualche grande università americana “manganellata” dai grandi finanziatori; noi stiamo con la presidente di Harvard, donna afro, che non ha avuto paura di essere mandata a casa “a manganellate” pur di difendere gli studenti pro-palestinesi e la legalità costituzionale americana. E qualcuno avrebbe tagliato corto: la polizia ha manganellato noi come la tv di Stato ha alla fine manganellato Ghali. Perché il governo italiano – peraltro democraticamente in carica – è schierato a fianco di quello israeliano, per il quale “antisionismo” è “antisemitismo” e va naturalmente combattuto e represso: a Gaza, in Israele, in Usa, in Europa.
Ma queste parole – o può darsi altre, che sarebbero state comunque la base per un vero confronto politico-mediatico sui “fatti di Pisa” e forse su altro – non le abbiamo udite né lette. Così come continueremo a non sentire da Elly Schlein qualcosa di più di un telegramma di deplorazione su Pisa: qualche parola di condivisione vera della “lotta” di giovani elettori che – con qualche evidenza – possono avere almeno in parte simpatie “dem”. E stanno con i palestinesi: il Pd forse no? La posizione sarebbe politicamente legittima come qualsiasi altra. Ma gli studenti di Pisa per primi sono ancora in attesa di conoscerla: soprattutto dopo essersi presa qualche manganellata fuori programma e decisamente fuori luogo.
Assumendosi qualche rischio, il co-fondatore del Pd che oggi siede al Quirinale ha quanto meno aperto il dibattito nel (suo) centrosinistra. Perché invece, a un secolo dal delitto Matteotti, sul fatto che l’Italia “ripudi” ogni violenza contro la libertà di pensiero e parola – così come “ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali” – non ci può essere dibattito: non si può non essere d’accordo con la Costituzione repubblicana dal 1948.
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