Nell’estate scorsa il Documento delle Commissioni Finanza di Camera e Senato sulla riforma fiscale ha tracciato le linee guida per la legge delega. Il risultato di questo lungo lavoro è stato un compromesso tra diverse posizioni politiche che non contiene nessun riferimento alla tassazione del patrimonio immobiliare, ad esempio, le imposte di registro, ipotecarie e catastali, sulle successioni, le donazioni e sulla riforma del catasto.



Nei primi giorni di ottobre, l’approvazione da parte del Consiglio dei ministri del Disegno di legge delega sulla riforma fiscale contiene un chiaro riferimento alla revisione del catasto. Un problema di efficienza e di equità irrisolto da molto tempo che merita di essere trattato. In sostanza, è previsto il calcolo della rendita attualizzata ai valori di mercato e la sostituzione dei vani con la superficie in metri quadri, che in futuro potranno modificare la tassazione degli immobili.



Dunque, gli immobili privati sono al centro dell’attenzione dell’agenda politica e dell’azione del Governo. Ma che cosa si può dire sul patrimonio immobiliare pubblico? Senza entrare nel merito dei recenti fatti di cronaca è chiaro che gli immobili pubblici, dello Stato e dei governi territoriali, sono stati utilizzati in modo inefficiente, con modalità che spesso hanno generato reddito insufficiente e costi, o addirittura sono inutilizzati, ad esempio le numerose caserme dismesse.

Nel 1987 la relazione conclusiva della Commissione di indagine sul patrimonio pubblico presieduta da Sabino Cassese ha valutato il complesso dei beni della Pubblica amministrazione e consigliato di alienare ai privati almeno l’1% del valore complessivo. Altri studi sono seguiti nei decenni successivi. È emersa la rilevanza del patrimonio immobiliare pubblico e l’opportunità dell’alienazione anche per ridurre il rapporto debito/Pil. Tuttavia, a partire dall’inizio degli anni ’90 il problema del patrimonio immobiliare pubblico è stato trattato nei documenti di finanza pubblica e da numerosi (troppi) provvedimenti normativi, spesso contraddittori. Fino a pochi anni fa il risultato è stato che a fronte della proliferazione delle norme gli immobili pubblici sono rimasti tali, immobili e pubblici. Anche gli effetti concreti del federalismo demaniale sono risultati deboli e hanno anticipato il fallimento del federalismo fiscale.



Inoltre, l’attenzione è sempre concentrata sui fabbricati, mentre altri beni, ad esempio le foreste pubbliche, pari a circa il 40% del patrimonio forestale, sono ancora oggi trascurate come risorsa economica e produttiva.

Che cosa non ha funzionato? È mancata una scelta politica chiara sul ruolo economico dello Stato in materia di immobili pubblici e, in particolare, a favore dell’alienazione sul mercato di quelli non strategici all’esercizio delle funzioni pubbliche dello Stato e dei governi territoriali. In mancanza di questa scelta ha prevalso un approccio legislativo, anziché di tipo economico.

Solo negli ultimi anni sono stati fatti passi in avanti nella direzione desiderabile dell’alienazione mediante aste pubbliche.

In attuazione della Legge di bilancio 2019, comma 422, è stato attivato il Piano triennale di dismissione degli immobili pubblici con l’obiettivo di incassare 850 milioni di euro nel 2019, 150 milioni nel 2020 e nel 2021. Nella Nadef 2019 è previsto che l’Agenzia del demanio provveda all’alienazione di 1.600 immobili per un valore di 458 milioni. Sulla base di questi indirizzi, nello stesso anno, sono stati pubblicati bandi di gara per 1.000 lotti per un valore di 192 milioni di euro. Altri casi significativi riguardano l’alienazione di terreni mediante asta pubblica.

Naturalmente tutti gli Stati possiedono e gestiscono fabbricati, terreni, foreste e altri beni, ad esempio le concessioni demaniali, ma spesso, come avvenuto in Italia, lo fanno in modo improprio e inefficiente rispetto all’interesse pubblico.

Per quanto tempo potremo ancora permetterci lo Stato e i governi territoriali proprietari di immobili che sprecano tempo e risorse, aumentano la spesa pubblica e la tassazione, invece di ridurle entrambe? In altre parole, perché in Italia è così difficile cambiare lo status quo? In assenza di un aumento dell’efficienza, della credibilità e della reputazione delle scelte pubbliche, non possiamo essere ottimisti per il futuro degli immobili pubblici e privati.

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