Cosa c’entra lo ius soli? Cominciamo innanzitutto a dire “basta” a questo razzismo al contrario che deve – per obbligato e quotidiano “politicamente corretto” – avvelenare di demagogia ogni trasmissione o articolo di giornale. C’era bisogno ogni volta di sentirci dire in tutte le salse la solita lezioncina esplicita od implicita ripetuta per tutte le Olimpiadi che “Gli italiani devono capire come questi nostri campioni ‘di colore’ sono il vantaggio di una società multietnica che invece molti cattivi razzisti-fascisti non vorrebbero in Italia”?



Basta, non serve più, ormai di fondo c’è un concetto chiaro, anche se forse accettato solo da un’infima minoranza: non è il colore della pelle che determina una nazionalità, ma una infinità di altri fattori, anche in campo sportivo.

Se è evidente come in una qualsiasi classe di scuola oggi in Italia ci siano giovani di diverse razze (si può ancora scrivere?) lo stesso avviene nello sport, e se sono ragazzi e ragazze che hanno la nazionalità italiana sono a tutti gli effetti identicamente “italiani” come prevede la nostra Costituzione, punto e basta.



Diverso è chi per qualche motivo non ha la cittadinanza e che quindi – fino a quando non l’otterrà – non è “italiano”, ma (se è bengalese, nigeriano o peruviano) avrà gli stessi diritti e doveri di un italiano per quanto applicabili pur non avendone la nazionalità, se dimora legalmente nel nostro Paese.

Piuttosto il discorso sarebbe sul “come”, sul “chi” e sul “quando” si diventa italiani (e si continui a meritarlo, ma questo vale anche per gli “italiani standard”) perché su questi aspetti ci sono regole e leggi a volte superate, ma anche molto spesso abusate e si dovrebbe avere il coraggio di dirlo.



Stabiliti questi concetti di fondo, quello che bisogna poi avere il coraggio di sottolineare è anche come spesso ci sia “l’acquisto” della cittadinanza con furbizie varie e questo – soprattutto nello sport – non solo a livello italiano, ma generale.

Proprio in ambito sportivo servirebbero norme uguali per tutti, perché le medaglie olimpiche fanno comodo e danno lustro ad ogni Paese, tanto da far scattare una indecente “campagna acquisti” tra le nazioni “ricche” che si rubano a vicenda i campioni di quelle povere. Se l’Arabia Saudita o il Qatar compreranno dieci supercampioni offrendo loro una cittadinanza d’oro (oltre che magari esentasse)  presto saranno in cima al medagliere.

Bisogna quindi avere una chiara norma generale e poi, in questo quadro, valutare caso per caso. Nel luglio 2021, per esempio, mentre la nazionale cubana si trova all’aeroporto di Madrid, Andy Díaz si allontana dal gruppo, lasciando anche i suoi bagagli, per poi rifugiarsi in Italia stabilendosi a Livorno. Chiede e ottiene asilo politico e il 23 febbraio 2023 gli è concessa la cittadinanza italiana con delibera del Consiglio dei ministri e procedura “super fast” sostenuta dal CONI per i suoi risultati nel salto triplo che l’hanno portato alla medaglia di bronzo a Parigi.

Auguri e complimenti a Díaz (d’altronde omonimo del generalissimo di Vittorio Veneto e che in poco tempo ha tra l’altro imparato un italiano perfetto), ma quanti altri poveretti avrebbero allora tutti i sacri crismi per ottenere asilo e cittadinanza e invece aspettano anni: sono giuste le corsie preferenziali?

Mentre il sollevare continuamente la questione “colore della pelle” non fa che moltiplicare la diffidenza e implicitamente i “distinguo”, la questione delle cittadinanze sportive è diventata un mercato e bastava vedere le squadre di calcio agli ultimi europei per rendersene conto. Delle regole sono quindi necessarie, perché altrimenti le nazioni povere sono e saranno sempre più depauperate dei propri campioni, oltre che i regimi dittatoriali (il che non è necessariamente un male).

In generale non basta quindi dare del “benvenuto” al campione che rimpolpa il nostro medagliere, ma fissare regole più chiare per tutti. Per esempio, se dopo dieci anni di soggiorno hai diritto ad ottenere la cittadinanza italiana non devi poi dipendere dalle nostre scassate strutture consolari, oberate di pratiche, che ci mettono anni a rispondere a un questionario e quindi le domande andrebbero inoltrate ben prima.

Così come servono “filtri” seri ed obiettivi per valutare i comportamenti tenuti dal richiedente prima e dopo il suo arrivo, perché la cittadinanza impone non sono solo “diritti” ma anche “doveri” da tutti i punti di vista.

Non si può e non si deve generalizzare (ma ricordiamoci anche il rischio di importare criminali o di farli diventare tali lasciando gli immigrati nella povertà o nella disperazione) e quindi bisogna intenderci anche sul “come” si arriva in Italia perché altrimenti, in pratica, lo ius soli diventa poi una consuetudine che allora – però – va prima decisa e stabilita per legge.

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