L’emergenza Covid-19 presenta la vexata quaestio apparati-comunità in una nuova veste, quella delle scelte di classificazione che sono alla base dei numeri. Da qualche mese le definizioni e le cifre dei bollettini della Protezione civile sono diventati le norme fondamentali della nuova Costituzione italiana.
Molti dubbi sono affiorati circa i dati che narrano l’emergenza Covid: si è presentato come “il numero dei contagiati” una cifra che in realtà è fortemente condizionata dai criteri di selezione delle persone sottoposte a tampone; oltre un terzo dei decessi attribuiti al Covid presentava almeno un’altra patologia (cardiovascolare, respiratoria, diabete eccetera) e non sapremo mai quanti decessi siano avvenuti “a causa” del virus e quanti “con” il virus.
Ma i dati generano comunque sudditanza. Indossando la veste dei numeri, una certa descrizione della vita sociale si erge al di sopra di ogni altra, celando le complessità, strozzando gli interrogativi e le interpretazioni, emarginando intraprendenze, differenziazioni e sperimentazioni.
Paolo Ascierto e Giulio Tarro, entrambi napoletani, sono le punte visibili della moltitudine degli eretici. Perché i numeri delle tabelle contengono sempre specifiche visioni del mondo, specifici sistemi valoriali e specifiche scelte metodologiche, che sono a monte delle tabelle stesse, ma che raramente sono esplicitate.
Heisenberg, premio Nobel per la fisica nel 1932, ha spiegato, con il suo “principio di indeterminazione”, che qualunque osservazione è un costrutto unico, che promana dalla figura dell’osservatore. La psicologia cognitiva spiega come ogni percezione umana non è mai avulsa dal contesto culturale entro il quale si sviluppa. All’eterno fascino dei numeri oggi si associa la statura, spesso titanica, delle infrastrutture statistiche e informatiche, che ai “big data” fanno da sfondo e da arsenale.
Il professor Domenico De Masi, nell’ambito dell’emergenza Covid, ha osservato come nel Sud Italia non sia diffusa l’abitudine di affidare gli anziani alle strutture residenziali, perché i figli avvertono il dovere di badare ai genitori nella loro tarda età: con la centralizzazione dei sistemi informativi, questo tipo di fattori, legati al così poco scientifico mondo dei sentimenti, rischia di evaporare come oggetto di analisi.
Dopo essersi proposto al tempo dell’unificazione italiana, il dilemma tra il centralismo di stampo francese e il pluralismo di matrice anglosassone si ripropone oggi in nuove fattezze, quello dei criteri di strutturazione dei dati. E mentre la società e le imprese premono per la sussidiarietà (“Ogni territorio ha le sue peculiarità, la sua domanda economica e sociale, mentre oggi la risposta della Repubblica tende ad essere omogenea, con lo stesso modello organizzativo ripetuto automaticamente”, Protocollo “Italia semplice”, 2014, sottoscritto da Governo, Regioni e Autonomie locali), gli apparati burocratici operosamente realizzano sistemi informativi centralizzati. “Nel 1861 gli eredi di Cavour scelsero come è noto la continuità con la tradizione amministrativa sabauda, riproducendo in particolare nell’organizzazione amministrativa del nuovo Stato unitario le scelte di fondo che avevano ispirato nel 1853 la riforma cavouriana del Regno di Sardegna … disegnando un’organizzazione basata sui principi chiave dell’uniformità e della centralizzazione, di prossima derivazione napoleonica” (Guido Melis, La nascita dell’Amministrazione nell’Italia Unita, 2009).
Negli ultimi 50 anni i premi Nobel per l’economia sono stati conferiti quasi esclusivamente a studiosi anglosassoni e molti di essi hanno studiato la varietà dei comportamenti umani. “Il problema è nel modello usato dagli economisti, un modello che sostituisce l’Homo sapiens con una creatura fittizia chiamata Homo oeconomicus, che per brevità chiamo solitamente Econ. Rispetto al mondo fittizio degli Econ, gli esseri umani (‘Human’) hanno molti comportamenti anomali e ciò significa che i modelli economici generano una quantità di predizioni sbagliate” (Misbehaving. La nascita dell’economia comportamentale, Richard Thaler, premio Nobel 2017 per l’Economia).
Autorevolissimi giuristi hanno fornito gli elementi per tradurre il pluralismo economico-sociale in ordine giuridico. Santi Romano (L’ordinamento giuridico), in particolare, ha esaminato la tendenza dei gruppi sociali a costituirsi secondo cerchie giuridiche indipendenti, ricavandone il principio della pluralità degli ordinamenti. Paolo Grossi, già presidente della Corte costituzionale, ha richiamato (Prima lezione di diritto) l’attenzione sul rapporto tra dinamismo sociale e diritto (“Il nuovo diritto è disegnato assai poco da legislatori – rari, incauti, disorganici –, ma piuttosto da un assestarsi spontaneo dell’esperienza quotidiana, varissima da tempo a tempo e da luogo a luogo per il variare delle esigenze, che trova in un pullulare di consuetudini la sua manifestazione e consolidazione più vitali”), rilevando (Globalizzazione, diritto, scienza giuridica) l’inarrestabile decadere della codificazione di stampo francese in favore della common law.
La sensazione è che oggi sia importante non tanto come si disciplina il “deliberare”, ma come si organizza il “conoscere” e quindi come si progettano dati e algoritmi. Nell’Italia dei dialetti, delle piccole patrie e delle piccole imprese, accanto ai big data dello Stato, sapremo costruire anche gli small data dei territori? Il welfare e le ispezioni sul lavoro sapranno tenere conto del sommerso e dei roghi tossici, che i data base dell’apparato centrale ovviamente ignorano? Il pericolo è quello del “quantitative imperative”, entro il quale la colorata realtà del Bel Paese – e non solo – rischia di essere trattata come un insolente deviare dalla tabella dei codici Ateco.
Dopo la medicina difensiva e l’amministrazione difensiva, anche la visione d’insieme della Politica rischia di essere schiacciata dalla parzialità dei dati e di non avere più voce. Misura, ordine, logos, unità, molteplicità: chi progetta i sistemi di dati? Per provare a tratteggiare una pista di propositività, l’invito è a portare il focus sui sistemi di misurazione, ricordando che sin dall’origine dei tempi (Genesi, 2), il modo in cui l’uomo classifica e “nomina” gli elementi della realtà orienta l’ordine della sua comunità.
“Nell’antichità classica, nella Grecia antica, non c’è dubbio che le misure – così come la moneta – fossero attributi del potere sovrano. Ad Atene i campioni delle misure e dei pesi erano conservati nell’Acropoli ed erano forniti di dediche agli dèi, come in Campidoglio a Roma. Esisteva anche una carica di verificatore. E tuttavia il particolarismo politico della Grecia antica si rifletteva fedelmente nel particolarismo delle misure e dei pesi. Le nuove polis che sorgevano creavano i propri campioni come simbolo della loro sovranità, mentre alle città conquistate la città vincitrice imponeva le proprie misure come simbolo del suo dominio” (Kula W., Le misure e gli uomini dall’antichità ad oggi).
Nell’Asia sud-orientale la superficie delle risaie viene misurata in “ceste”, in base al numero di ceste di semi che l’agricoltore vi semina e del numero di ceste di riso che si prevede di raccogliere. Gli “acri”, dal canto loro, misuravano la superficie arabile in un giorno con una coppia di buoi.
Paolo Agnoli (La standardizzazione delle misure e gli ideali della società moderna) ricorda che fu la Rivoluzione francese ad inventare il sistema metrico decimale: “I sistemi di misura tradizionali più conosciuti risalgono a tempi antichi e sono il risultato dell’evoluzione di pratiche tradizionali usate in quelle società. Il sistema metrico, invece, fu creato dal niente … Nel 1790, l’Assemblea Nazionale avviò il primo tentativo di costruire un sistema di unità di misura universale (con l’intento dichiarato di essere ‘Per tutti i popoli, per tutti i tempi’) … L’obiettivo di universalità che fu alla base di tutti i lavori proposti dall’Assemblea Nazionale era tipico dello spirito illuminista”.
Il sistema anglosassone, come noto, non ha mai manifestato entusiasmo per il sistema metrico decimale francese e continua ad utilizzare metodi (pinta, pollice, piede, yard) basati sulle unità di misura dei Romani.
Come classificheremo, nei prossimi decenni, i fenomeni sociali? Ai criteri di Richter, che dei terremoti rileva l’oggettiva intensità, sapremo aggiungere quelli di Mercalli, che guarda alle caratteristiche dell’edificato locale e del sisma si cura di rilevare l’impatto concreto, in un certo tempo e in un certo luogo? Platone auspicava il governo dei filosofi: se l’infrastruttura delle classificazioni costituisce la nuova res publica, forse dai dati del Covid e dalle dispute sull’Organizzazione mondiale della sanità si può scorgere un’altra grande emergenza a cui mettere mano.