La domanda che oggi, anzi da stamane, assilla l’osservatore di cose sindacali è sempre la stessa e risuona come una eco ininterrotta: Bon!, è stato fatto, si sono adunati, ci hanno marciato, gridato, sloganato, imprecato, si sono squarciagolati per le vie della provincia profonda di questo Paese. Hanno invocato la “Riforma dei pedalini”, cioè in antilingua si sono auspicati di rivoltare l’Italia come un calzino.
Ovviamente sono partiti dall’elenco dei problemi, dallo snocciolamento di tutto quel che non funziona e francamente solo Dio sa quante cose non vanno in questo che una volta era il Paese più bello del mondo: dai salari che non si alzano, alla sanità che crolla, ai farmaci che non ci sono, ai trasporti che sono un terno al lotto, alla politica estera affidata, per fortuna nostra, alla von der Leyen, ai conti pubblici che si disordinano con una grazia e una leggerezza unici, alle industrie che non hanno progetti a sostegno e prospettive se non quelle che si sanno costruire da sole, alle banche che sono straniere per gli italiani e italiane per gli stranieri, alla produttività che ha la vitalità di una statua di marmo, all’automotive che per il motive è come un fossile e per l’auto in effetti ci pensa di per sé… E via dicendo: catastrofismo? No realismo.
E allora? Allora sciopero, parafrasando quella pubblicità che chi non è vissuto nei migliori anni della storia del mondo, cioè tra Sessanta e Novanta, mica può conoscerla. Ecco il punto è proprio questo: dopo una giornata così, dove le piazze si sono riempite (poi magari come hanno fatto alcune testate sempre attente a riportare la Voce del Padrone, si può vedere se si è trattato di piazze grandi, grandicelle, normali, minime, microscopiche o solo di pianerottoli, ma non è questo il punto), e le fabbriche (mica tutte ma di certo una parte sì), le scuole (queste decisamente meno) o gli ospedali (beh, mah, boh…), ma soprattutto i centri per anziani di tutta la penisola si sono svuotati, ecco dopo una giornata così adesso, cioè domani, cosa succederà?
Perché, come diceva un vecchio, nel senso di saggio, sindacalista c’è sempre il giorno dopo, anche di quello dello sciopero. Ed è lì che si capisce se a perderci dall’astensione saranno stati i salari degli scioperanti o i consensi dei governanti. Che il Governo non stia bene di per sé non significa che la protesta sindacale abbia ottenuto alcunché: se una volta la minaccia di uno sciopero generale bastava a mutare l’inquilino di palazzo Chigi, oggi forse, ma non è detto, ci vorrebbero nuove elezioni.
Comunque e soprattutto: adesso che, ammettiamo sia andata così, la maggioranza dei lavoratori ha mostrato i muscoli, teso i tendini, gonfiato le carotidi, cosa si fa? E se “quelli” si ostinano a non voler cambiare la loro bizzarra, eufemisticamente parlando, manovra con cui salgono le tasse e diminuiscono gli incentivi in favore di famiglie e imprese, come ci si muove? Mica si può proclamare un altro sciopero, almeno a breve. Si tratta (nel senso di “è il caso di”) di abbozzare o si tratta (nel senso di “contratta e discute”)? Insomma, dopo la botta di adrenalina delle manifestazioni, delle belleciaoooooo più o meno sguaiate, degli auspicati ritorni a casa dei vari politici e governanti, come muoverci?
Un vecchio (nel senso di anni di militanza) sindacalista come Landini non poteva non saperlo e infatti a chi lo ha ascoltato attentamente ieri ha dato l’impressione di buttare la palla in tribuna: va bene la battaglia per la pace, l’industria, il lavoro, ma tutta questa roba deve farla anzitutto il sindacato europeo. Il che capirete è quanto meno curioso: cioè scioperiamo contro la Meloni, e fin qui tutto bene, ma contrattiamo con la von der Leyen? Perdonerete se non capiamo.
Non capiamo perché lo si sia fatto, ma non capiamo nemmeno se lo si sia fatto e si siano chieste ai singoli lavoratori somme variabili tra i 50 euro e i 100 euri per una ragione vera, cioè sindacale; non capiamo se invece lo si sia fatto per un motivo politico o per cambiare la società, o per abbattere il modello produttivo o per modificare il sistema occidentale. L’impressione è che le motivazioni siano state un risotto, come si dice qui ai confini dell’Impero.
E se, digggrazia confessiamolo, lo si sia fatto per una mera, e a questo punto ipoteticamente comprensibile, ragione sindacale, ne scaturirà che il Maurizio nazionale stasera chiederà alla influencer nazionale Giorgia di riaprire il tavolo e di ridiscutere tutto il suo impianto di governo? Oppure basterà un qualche segnale per almeno poter dire che anche stavolta abbiamo vinto? E, se ripetiamo, quella non lo facesse? Se si ostinasse a occuparsi di rapporti con i grandi leader mondiali tipo il Presidente argentino o il Primo ministro albanese? Cosa si andrà a dire a quanti hanno tirato fuori da miseri salari somme non puramente simboliche sperando che lo sciopero del 29 novembre 2024 avrebbe dato loro qualche risorsa in più?
O ci si dovrà inventare qualche vittoria: tipo, come Maurizio ha avuto la faccia di bronzo di dire, che è stato lo sciopero generale contro Draghi (ci fu anche quello ricordate? perché ai lavoratori mancheranno i soldi ma non deve mancare mai uno sciopero generale) a introdurre gradite novità nella busta paga dei lavoratori? Maurizio, Maurizio: tu quoque? Dacci retta: questi mezzucci retorici lasciali a quanti, e ce ne sono tanti, vivono di balle quotidiane: oggi ne dico una e domani la smentisco, tanto la gente ha la memoria del pesce rosso decerebrato.
Ripetiamo: non ci interessa sapere se lo sciopero è andato bene o male. Per il bene dei lavoratori che vi hanno aderito preferiremmo anzi che lo sciopero sia stato produttivo ma lasciamo tanto nobili e alte riflessioni a chi per mestiere e pagnotta deve grancassare quel che l’editore gli dice e quindi deprimere o esaltare le cifre a prescindere dalla realtà. Ci interessa invece capire quel che da domani dovrebbe avvenire nell’ottica di chi ha chiesto un sacrificio ai propri rappresentati. Temiamo, infatti, che avendo rinunciato alla contrattazione non rimanga che offrir loro come soluzione la lamentela, il lagno, il mugugno. Che però, sindacalmente parlando, risultano quanto meno improduttivi. O meglio: sul breve sono improduttivi, poi spingono la gente a dire che sono tutti uguali, partiti e sindacati, e nessuno pensa a loro e le cose vanno sempre male. E quindi perché andare a votare? E, secondo passo, perché iscriversi a qualche sindacato che tanto non serve?
Ecco non vorremmo che anche il futuro sindacato assomigli a qualche partito (nel senso che sembra ormai arrivato in fondo alla corsa) del vaffa. Anche se, andreottianamente occorre pur dirlo, così facendo Maurizio avrebbe il vantaggio di prepararsi alla sua futura carriera. Vedi mai che a pensar male…
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