In tempi di “gran disordine sotto ai cieli” uno scontro transatlantico fra due leader internazionali entrambi “cattolici democratici” è un segno dei tempi fra tanti.

Romano Prodi è stato l’unico vero presidente “cattodem” della Commissione Ue post-1992 (non lo erano i due “popolari” lussemburghesi Jacques Santer e Jean-Claude Juncker); Joe Biden è il secondo Presidente cattolico degli Stati Uniti dal 1776: prima di lui solo John Kennedy, lui pure eletto nelle file dei democrat. Due  identikit fatti per specchiarsi al primo sguardo, Prodi e Biden: e non solo in teoria. L’allora Senatore del Delaware era ospite abituale di Cernobbio negli anni in cui vi si muoveva da star il Premier italiano, già international advisor della Goldman Sachs. A non intendersi affatto con la Casa Bianca (quando Biden vi risiedeva come vice di Barack Obama) fu semmai Silvio Berlusconi: l’anti-Prodi della Seconda Repubblica. Il Cavaliere – in odore di putinismo – fu infatti estromesso per sempre da palazzo Chigi come effetto collaterale dall'”operazione militare speciale” della Nato contro la Libia nel 2011, sotto la regia dell’America “dem”.



L’intervista rilasciata da Prodi al Corriere della Sera nel primo anniversario dell’aggressione russa all’Ucraina si è presentata in questi giorni fin dal titolo (“Se gli Usa dividono l’Europa…”) come un attacco frontale alla Casa Bianca nell’attuale crisi geopolitica. Un’uscita tanto forte e inedita da suggerire – con parecchia evidenza – al quotidiano di via Solferino di inserire nella stessa prima pagina un editoriale a sua volta critico verso il ritorno dell’anti-americanismo in Europa, alle spalle dell’Ucraina che resiste a Vladimir Putin.



L’ex Premier italiano ha lamentato che Biden sia volato direttamente a Varsavia – dopo la sosta-lampo a Kiev – senza fermarsi a Bruxelles. L’approccio – da parte di uno storico leader europeista – può mostrare qualche giustificazione in funzione di stimolo a un’Europa lacerata al suo interno, senza guide credibili nelle sue istituzioni centrali e quindi schiacciata dalle poderose spinte globali scatenate dalla pandemia prima e ora della guerra. Resta il fatto che Prodi evita di scuotere Ursula von der Leyen  (che lui stesso ha legittimato nella Ue e poi anche in Italia del “ribaltone”) oppure Olaf Scholz o Emmanuel Macron. Prodi ha preferito mettere direttamente nel mirino il Presidente Usa in carica: accusandolo di voler indebolire l’Ue.



Biden avrebbe delegittimato l’Europa proprio rendendo massima la legittimazione della Polonia: che è peraltro la vera prima linea della Nato in Europa orientale, oltreché asilo primo o stabile di milioni di profughi ucraini. Ma Varsavia è anche da anni sul banco degli imputati a Bruxelles per presunte violazioni dei diritti civili e delle garanzie democratiche (non diversamente dall’Ungheria di Viktor Orban: cui – come alla Polonia – l’Ue sta lesinando l’erogazione dei fondi del Recovery Plan). È questo sicuramente un nervo scoperto fra tanti nell’Ue sconvolta dalle onde del terremoto ucraino. Ed è un versante caldissimo nella prospettiva politico-elettorale europea e italiana. La Polonia è governata da una maggioranza conservatrice che in Europa fa capo a Ecr: il partito presieduto dal Premier italiano Giorgia Meloni, in forte crescita nei sondaggi in vista del prossimo euro-voto del 2024; oltreché in colloqui con il Ppe (vero partito d’elezione di Prodi, assai più di S&D).

La Polonia, nondimeno, è un incrocio complicato per un “cattodem” italo-europeo. È stata la “periferia” europea dalla quale nel 1978 (Prodi era già ministro) giunse a Roma il cardinale Karol Wojtyla. E il futuro San Giovanni Paolo II è stato forse il leader globale più determinante per la fine della dittatura sovietica nell’Est Europa e quindi per la costruzione dell’Ue odierna. Papa profondamente europeo, Giovanni Paolo II era stato braccato in gioventù dai nazisti e fu infine bersaglio di un tentativo di assassinio ordito Oltre Cortina. Senza quel Papa polacco Prodi difficilmente sarebbe diventato leader di un’Europa “larga e libera”: e forse neppure Premier italiano a capo di una coalizione in cui l’ex partito comunista era decisivo. Ma, a quasi un ventennio dalla scomparsa, quel Pontefice e le sue radici (citati dalla premier Meloni nel suo discorso d’insediamento) sembrano invece per i “cattodem” non solo dimenticabili ma perfino rinnegabili o falsificabili. Se n’è avuta eco chiara proprio ieri, in un articolo pubblicato sul Corriere della Sera a firma dello storico Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio: “Giovanni Paolo II, in ventisette anni, transitò la Chiesa dalla guerra fredda alla globalizzazione (dando pure un contributo ‘politico’ specie in Polonia, sic), ma i problemi del mondo globale lo hanno solo sfiorato”.

Dall’escalation politico mediatica di Prodi emerge comunque con chiarezza la realtà di un Occidente diviso dietro la narrazione di un’Euramerica ricompattata dentro il contenitore Nato. È questa tuttavia la dinamica di fondo che Prodi visibilmente contesta: il rapido ritorno di una Nato egemone sull’Ue, peraltro dopo anni di tensioni opposte con l’America First di Donald Trump. Quest’ultimo voleva alleggerire la Nato in Europa, mentre nel frattempo l’Ue “europeista” (anche di Prodi) non è mai riuscita neppure a mettere sul tavolo un progetto di sistema proprio di difesa integrata.

Prodi sembra verosimilmente battere le orme della Germania che ha rifiutato il diktat Nato sull’invio di Leopard all’Ucraina, salvo poi negoziare direttamente con Washington (delegittimando quindi dall’interno l’Ue). È un Prodi che pare guardare con favore anche alla polemica crescente dell’Ue contro gli Usa sugli aiuti statali alle imprese. Ed è inevitabile sentirvi una sorta di fedeltà postuma al proprio precedente “ego” di Presidente dell’Iri trasmigrato nella “sinistra liberal” come Premier-privatizzatore di tutto quanto lo Stato italiano poteva vendere: dalle banche a Telecom e alle Autostrade.

Sul versante italiano della polemica “transatlantica” non manca un monito al Governo in carica: che secondo l’ex Premier del centrosinistra si ritroverà di fronte a “scelte drammatiche”. È il passaggio forse meno lineare di tutta l’intervista: perché Meloni ha vinto nettamente le recenti elezioni politiche anche per aver schierato convintamente FdI (unico partito in Italia) a fianco della Nato e degli Usa pro-Ucraina. È stata semmai “drammatica” (anzitutto in termini di voti)  la non-scelta  del Pd italiani (“cattodem” in testa) sulla crisi ucraina. Un atteggiamento gemello degli ondeggiamenti dell’Europa “carolingia” di Scholz e Macron. Il viaggio di Kiev di Meloni ha intanto fatto giustizia in tempo reale degli ondeggiamenti della Rai “dem” sulla presenza del Presidente ucraino Volodymyr Zelensky al Festival di Sanremo.

Drammatiche, rischiano ora di essere, nello specifico, le scelte per i “cattodem”(italiani e non solo) alle prossime elezioni europee, fra un anno. Sei mesi dopo sono in calendario le elezioni presidenziali negli States: con Biden verosimilmente ri-candidato, al vaglio (anche) di tutti gli americani cattolici e dei loro vescovi.

P.S.: Il direttore di Repubblica, Maurizio Molinari, ha riservato un severo editoriale domenicale alle presunte ambiguità verso la Cina che – a suo modo di vedere – continuerebbero a gettare ombre sul Governo Meloni e a “separarlo dalla Casa Bianca” (sic). A fianco, sulla prima pagina del quotidiano, campeggiava un appassionato titolo d’apertura a favore del Pd, chiamato a primarie di riscossa contro il centrodestra. Bene: se c’è una forza politica italiana strutturalmente ambigua verso la Cina, questa è da molti anni e resta tuttora il Pd (alleato nel Conte-2 di M5S, vero “partito cinese” in Italia). Se c’è un grande “power broker” (e non l’unico fra i “dem”) fra Roma e Pechino questo è Prodi: che non più tardi di ieri stesso, sul Messaggero, ha puntualmente sollecitato a prendere sul serio “la proposta di Pechino” per la fine della guerra in Ucraina. L’avesse scritto Silvio Berlusconi sarebbe stato sepolto da uno shitstorm di invettive “atlantiche” contro il paci-disfattismo europeo e i legami con Mosca di ex Premier europei come anche il tedesco Gerhard Schroeder (Nato e Usa hanno a loro volta già giudicato shit il piano di pace presentato dalla Cina al Cremlino). Non sarebbe invece inverosimile se le posizioni di Prodi diventassero prima o poi merce preziosa per i troll di Mosca.

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