Siamo nel 2010, è in corso una riunione dei vertici della società dei Benetton che controlla Autostrade. Gianni Mion ex Ad della holding dei Benetton Edizione, ex consigliere di amministrazione di Aspi e della sua ex controllante, Atlantia, così la racconta, pochi giorni fa, nel corso del processo per il crollo del Ponte Morandi: «Emerse che il ponte aveva un difetto originario di progettazione e che era a rischio crollo. Chiesi se ci fosse qualcuno che certificasse la sicurezza e Riccardo Mollo mi rispose ”ce la autocertifichiamo”. Non dissi nulla e mi preoccupai. Era semplice: o si chiudeva o te lo certificava un esterno. Non ho fatto nulla, ed è il mio grande rammarico». Lo dice oggi, a distanza di quasi cinque anni da quella tragedia che costò la vita a 43 persone fra automobilisti e dipendenti dell’azienda di nettezza urbana. “Temevo per il mio posto di lavoro” dirà più tardi. Già, e le vite degli altri?



E’ l’ultimo di una serie di ignavi che popolano il nostro mondo. Uomini e donne piccoli che, per soldi o per potere, chiudono gli occhi di fronte alla realtà e così diventano conniventi con il male.

Chi non ricorda il crack della Banca Popolare di Vicenza e del Banco Veneto? Erano le casseforti della regione. Due realtà solidamente legate al territorio. Luoghi a cui la gente affidava i suoi “schei”, spesso i risparmi di una vita , con la certezza che lì sarebbero stati al sicuro. D’altra parte come non fidarsi del direttore della banca o dell’impiegato con cui vai a bere il caffè tutti i giorni, che vedi sempre in chiesa, che incontri la domenica al campo sportivo: “Buongiorno Direttore come sta? E la sua signora? E i bambini?”. Invece no: tutto crolla nel giro di pochi mesi. Le due banche vanno in default in un misto di “violazioni, connivenza, omertà sottotraccia, servilismo fantozziano e obbedienza ipocrita al grado gerarchico del capoufficio” come scrisse bene Marco Alfieri su Il Foglio.
All’interno si sapeva. Ma si taceva. Anzi, spesso gli impiegati proponevano quelle azioni che valevano ai clienti, dall’imprenditore al pensionato: “Acquista le azioni di Pop Vicenza, Sono una certezza. Valevano 48 euro, ora sono a 62. Cosa vuoi di più?”.



Ora sono carta straccia. E c’è gente che si è suicidata per questo: ma tanto sono le vite degli altri.

Non ho usato questa frase a caso. Resistere si può. A volte si deve. C’è ancora spazio per gli uomini buoni. Così mentre ascoltavo Gianni Mion mi è venuto alla mente proprio il film Le vite degli altri.

Siamo a Berlino Est nell’autunno 1984. Gerd Wiesler , un piccolo burocrate, capitano della Stasi, la famigerata polizia segreta della Germania Orientale, viene incaricato di spiare Georg Dreyman, famoso scrittore teatrale e intellettuale. Approfittando di una breve assenza, il capitano riesce a piazzare nell’appartamento dello scrittore numerose microspie.



Inizia così la scoperta di come vivono gli altri. Quei due, Dreyman e la sua compagna, così appassionati per l’arte, la letteratura, la bellezza trasportano il grigio burocrate in un mondo a lui sconosciuto.

Nulla di strano per il partito. Sino a quando Dreyman e la sua compagna decidono di scrivere, con una macchina portata clandestinamente dall’Ovest, un saggio sull’alto numero di suicidi nella Ddr. Uno scandalo. “Non ci sono suicidi o omicidi in Paradiso”, si dirà nel film 44 Child, ambientato nella Russia di Stalin.
Si innesca una caccia all’uomo che porta a Dreyman. La sua compagna, dopo un feroce interrogatorio, lo tradisce. E successivamente, per la vergogna, si suicida. Ma occorre trovare la macchina da scrivere. L’appartamento viene messo soqquadro ma la macchina non si trova.
Grubitz, il capo di Wiesler, intuisce immediatamente che solo lui può aver nascosto la macchina. Lo affronta duramente ma non può far altro che stroncargli la carriera.
Dreyman è salvo.

Gli anni passano, cade il Muro di Berlino. Wiesler nota per caso la pubblicità di un romanzo scritto da Dreyman, dal titolo Sonata per gli uomini buoni. Sfogliandolo in una libreria, vi legge «dedicato a HGW XX/7 (la sua sigla nella Stasi ndr), con gratitudine» e decide di acquistarlo. Il commesso gli chiede se lo desidera in una confezione regalo ma lui risponde con un lieve sorriso: «No, lo prendo per me».