Dunque è sempre meno probabile – di ora in ora – che il portafoglio agli Affari economici nella nuova Commissione Ue di Bruxelles vada a Paolo Gentiloni, appena nominato commissario Ue. Per la verità un quotidiano come il Corriere della Sera l’aveva data per certa sull’onda del giuramento del governo Conte-2 e del primo Consiglio dei ministri. Ma già nella mattina di venerdì, quando l’ex premier italiano ha incontrato la presidente Ursula von der Leyen (posta da Romano Prodi a santa patrona della nuova maggioranza giallorossa) il Financial Times avanzava una previsione molto secca: il commissario italiano sarebbe stato collocato all’Antitrust, retto negli anni 90 dal futuro premier tecnico Mario Monti.



Trascorse altre ventiquattr’ore, anche la prestigiosa ipotesi Concorrenza non è più apparsa attendibile: nel complicato puzzle multidimensionale che von der Leyen sta componendo sotto lo sguardo vigile di Parigi e Berlino – fra nazionalità, appartenenza politica, gender, curriculum – per Gentiloni potrebbero aprirsi le porte del commissariato all’Industria: lo stesso gestito da Antonio Tajani (Fi-Ppe) prima che – nel 2014 – Federica Mogherini fosse destinata dal governo Renzi alla poltrona di Alto commissario per la politica estera e la sicurezza (alla Farnesina fu sostituita proprio da Gentiloni, che poi subentrò a Renzi a Palazzo Chigi).



Il fake più grave prodotto dalla comunicazione del Conte-2 (ma forse già anche dall’ultimo Conte-1) su questo versante sembra però un altro: l’aver sempre minimizzato che l’Italia avrebbe rinunciato – o più verosimilmente le è stato negato a priori – a una delle due nuove poltrone di “vicepresidente esecutivo” della von der Leyen. Esse formeranno di fatto una nuova troika esecutiva a Bruxelles. E di esse, una sembra destinata alla liberaldemocratica danese Margrethe Vestager (in quota Macron), la quale eserciterà quindi certamente una sorveglianza-filtro su Gentiloni qualora andasse all’Antitrust.



Quest’ultimo è stato gestito negli ultimi cinque anni dalla stessa Vestager; con estrema rigidità verso le banche italiane; e comunque i mega-dossier annunciati per i prossimi anni (a cominciare da quelli riguardanti le big tech statunitensi) voleranno troppo in alto perché il tranquillo politico italiano possa pensare di incidere. Tanto che, nelle ultime ore, ha preso quota la suggestione francese di Sylvie Goulard: neo-nominata dall’Eliseo e proprio domenica scorsa “in campagna” a Ventotene assieme a Prodi – ex presidente della Commissione di cui la banchiera francese è stata consigliere – e Monti, ex capo della Concorrenza.

La seconda poltrona di “n. 2” esecutivo andrebbe invece al socialdemocratico olandese Frans Timmermans, primo vice di Jean-Claude Juncker e candidato iniziale di Angela Merkel al vertice della nuova commissione. È sulla carta compagno di famiglia politica di Gentiloni, ma è anzitutto un esponente di quell’eurocrazia del Benelux che di fatto è padrona di casa a Bruxelles e notoriamente anti-italiana.

Non sarà certo il premier italiano fresco di ribaltone ad avere voce in capitolo sulle scelte finali di von der Leyen, Macron e Merkel. E in fondo è già quasi dimenticata una bugia quasi veniale fra tante per abbagliare gli osservatori interni della nascita del governo M5s-Pd-Leu. Prima che un sondaggio Ipos confermasse che il governo che piace alla Ue (ma non al punto da dare a Gentiloni un incarico che l’Italia meriterebbe) non piace invece agli italiani.