Caro direttore,
l’intervista rilasciata ieri da Bibi Netanyahu a Repubblica sembra meritare qualche annotazione al di là dei contenuti, legati alla visita di stato del premier israeliano a Roma. Poco più di tre anni fa lo stesso spazio che ieri ha ospitato l’autodifesa di Netanyahu come premier democratico di un Paese sull’orlo della guerra civile, era occupato da una campagna politico-mediatica contro le presunte minacce alla democrazia italiana portate dal centrodestra guidato dalla Lega. Personaggio simbolo di quell’operazione fu la senatrice a vita Liliana Segre: nominata da Sergio Mattarella in quanto testimone della Shoah, cioè dell’“odio nazifascista” contro il popolo ebraico.
L’equazione fra “centrodestra (italiano)”, “neo-fascismo” e “antisemitismo” (oggi antisionismo) fu delineata dalla stessa Segre in un intervento (duro e non usuale per un senatore a vita) prima del voto di fiducia che sancì il “ribaltone” di governo nell’estate 2019. L’espulsione della Lega dalla maggioranza e il ritorno del Pd nel Conte 2 non ebbe però l’effetto di erodere i consensi elettorali al centrodestra (infine vincente alle politiche del settembre scorso). Fu anzi un’affermazione storica nelle regionali umbre dell’ottobre 2019 a spingere la stessa Segre a lanciare una commissione parlamentare sui fenomeni di odio (i cui esiti finali sono stati peraltro quasi irrilevanti).
È stata quest’iniziativa a essere appoggiata da Repubblica in una raffica di prime pagine a partire dalla – controversa – denuncia di un boom di messaggi di odio antisemita contro la stessa Segre (che tuttavia non ha mai confermato).
L’obiettivo era squisitamente politico: contrastare con tutti i mezzi un nuovo successo del centrodestra alle seguenti regionali dell’Emilia-Romagna, amministrazione-baluardo del centrosinistra. Qui, nel gennaio 2020, il Pd riuscì con molta fatica a confermare Stefano Bonaccini come presidente, mentre come sua vice spuntò il nome semisconosciuto di Elly Schlein: di cui tuttavia – allora come ora – erano note un’ascendenza paterna israelita (di militanza “liberal” fra i “dem” statunitensi) e una posizione critica verso le politiche di Netanyahu, in particolare nei confronti della questione palestinese (lo stesso umore era filtrato in alcune interviste della Segre).
Da allora Repubblica ha cambiato editore (da Carlo De Benedetti a John Elkann, entrambi israeliti) e direttore (da Carlo Verdelli a Maurizio Molinari, quest’ultimo israelita). E un po’ più di mille giorni dopo la campagna contro l’“odio nero”, nell’arco di poche settimane lo stesso quotidiano ha dapprima seguito con partecipazione entusiasta il duello fra Schlein e Bonaccini per la nuova segreteria del Pd; e ha poi aperto le proprie pagine al premier israeliano – a capo di una coalizione di destra sovranista a radice religiosa e assediato da accuse di golpismo – in visita alla nuova premier italiana tuttora sospettata di “postfascismo”.
Su questo sfondo, sia Schlein che Segre hanno preferito il riserbo; mentre invece Haaretz (che nel panorama politico-mediatico israeliano occupa lo stesso spazio di Repubblica in Italia) ha salutato la partenza di “King Bibi” per Roma con un articolo di fuoco (“La supplica di Roma: Netanyahu e Meloni sono uniti nell’isolamento internazionale”).
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