L’ex direttore generale della Banca d’Italia, Salvatore Rossi, una decina di giorni fa ha rilasciato un’intervista al quotidiano Repubblica ricordando che nel 2013-2014 era in discussione la direttiva europea sulla risoluzione delle crisi bancarie. Rossi ha ricordato che la Banca d’Italia e il ministero dell’Economia provarono a ottenere delle norme più adatte, presentando assieme un documento tecnico nel quale si sosteneva che il nuovo istituto del bail-in, cioè il salvataggio delle banche con i soldi di coloro che si rapportano con le stesse, a partire dagli azionisti, poi dagli acquirenti delle obbligazioni subordinate e così via, e non il bail-out, che si faceva invece con i soldi pubblici, non poteva essere retroattivo e che ci sarebbe voluto un periodo di transizione, perché tutti si abituassero alle nuove regole.
Ho aspettato l’esito delle votazioni per commentare la notizia orripilante, tale soprattutto nelle motivazioni giustificative: “non potevamo contrastare una tendenza che si affermava in tutta l’Europa a guida tedesca. Era anche scoppiata la crisi dei debiti sovrani che aumentava i sospetti tra Paesi del Nord e del Sud Europa”.
Invece, bisognava essere irremovibili. La nostra Costituzione tutela il risparmio e quindi questo non si tocca, peraltro addossando ai risparmiatori gli errori di un organismo bancario specializzato nel credito, pretendendo che i risparmiatori abbiano una specializzazione ancora più marcata.
Aggiungo ancora che il momento storico era favorevole all’assoluto diniego e non alla disponibilità manifestata attraverso la richiesta di un semplice periodo di transizione per l’entrata in vigore della nuova regola del bail-in, anche perché qualunque norma europea, se in contrasto con la Costituzione tedesca, in Germania non viene applicata (motivo per cui gli accordi europei sono incostituzionali, perché i contraenti di tali accordi, rispetto all’Italia, godono di agevolazioni speciali quando la nostra Costituzione afferma che le limitazioni alla sovranità possono avvenire solo a parità di condizioni). Inoltre, si poteva opporre alla Germania proprio la circostanza che aveva salvato le proprie banche e che pertanto avrebbero dovuto concedere agli altri Stati di fare altrettanto. Andava altresì ribadito che in Italia il costo delle crisi è sempre costato molto meno ai contribuenti italiani rispetto a quelli della Germania, della Francia, della Gran Bretagna o della Spagna.
Considerato l’esito delle consultazioni elettorali, appare chiaro che gli italiani hanno manifestato nei confronti di questa Europa una diffidenza enorme, preferendo a larga maggioranza i partiti palesemente contrari a questa Europa.
Anche la componente massonica che si definisce democratica è contraria a questa Europa, definendola, più che un’Unione, una disunione europea, improntata a un’ideologia post-democratica e neo-aristocratica, lontana dalle esigenze dei cittadini. Secondo Gioele Magaldi, Gran Maestro del Grande Oriente Democratico e presidente del Movimento Roosevelt, il virtuoso progetto iniziale basato sull’Europa dei popoli, dei diritti e della pace sarebbe stato sostituito da un progetto neo-feudale con oscure finalità. Ma dichiara connotazioni storiche non rinvenibili negli scritti di famosi personaggi che avrebbero prefigurato gli Stati Uniti d’Europa come fonte di pace, equilibrio, ricchezza culturale e spirituale e che pertanto inducono a dubitare delle sue idee, apparentemente condivisibili. Infatti egli non effettua nessun accenno all’aspetto più critico di questo organismo complesso che utilizza lo strumento monetario a debito per sottrarre la ricchezza ai popoli. Se critica non viene fatta e non è richiesta la riconduzione della proprietà della moneta in capo a coloro che le conferiscono valore accettandola negli scambi, significa soltanto voler rallentare il passo al degrado economico e all’accentramento delle ricchezze in mano a pochissimi privati: gli illuminati. Anzi fa di più, devia il discorso chiedendo che alla moneta corrisponda uno Stato, lasciando quindi che la moneta continui strumentalmente a schiavizzare coloro che la usano attraverso il mantenimento della moneta debito.
In altre parole, la massoneria si propone di sostituire la massoneria nel suo piano di appropriazione della ricchezza mondiale, accontentandosi di rallentarne il processo esecutivo, perché si è resa conto che la situazione le sta sfuggendo di mano.
Il popolo ha una sola arma: abbandonare tutti coloro che vogliono restare in questa Europa, ovvero ottenere che almeno la proprietà dell’euro sia assegnata ai cittadini, quindi consegnata agli stessi all’atto della sua emissione senza alcun corrispettivo.
Il debito pubblico, infatti, a causa dell’emissione a debito dell’euro, nonostante il progressivo aumento delle imposte rispetto all’aumento del Pil, non accenna a nessuna riduzione, segno questo che l’Italia, dopo la Grecia, è il secondo obiettivo da raggiungere attraverso l’euro. I burocrati europei insistono nel chiedere l’impossibile: assoggettano l’Italia allo spread e poi pretendono che venga ulteriormente aumentata la pressione fiscale, introducendo ulteriori imposte o aumentandone le aliquote.
Non potrà mai essere questa la soluzione. Infatti i dati del debito pubblico segnalano un andamento costantemente crescente, nonostante i continui avanzi di bilancio primario fatti registrare dai conti dello Stato (dati riportati trascurando le cifre decimali riferiti a fine anno, salvo diversamente indicato):
Esaminando i dati, si rileva che il debito pubblico italiano riveniente dalla conversione del debito pubblico preesistente all’euro e non influenzato dalle normative europee era pari, a fine 2002, anno di introduzione della moneta a debito, a 1.368 miliardi di euro (l’Italia aveva accumulato tale debito in ben 132 anni, venendo fuori da guerre e da bombardamenti che ne avevano più volte fiaccato l’economia). Nei soli 16 anni successivi il debito ha toccato la cifra di 2.321 miliardi, con un incremento del 69,7% (in valore assoluto 953 miliardi), quasi 60 miliardi all’anno, rispetto ai 10 annui di vigenza della sovranità monetaria in capo allo Stato.
Nel periodo di vigenza dell’euro gli stessi esecutivi tecnici non sono stati capaci di frenare l’ascesa del debito pubblico e, talvolta, la crescita è avvenuta in modo considerevole. Il governo Monti, infatti, in meno di un anno e mezzo ha innalzato il debito di ben 128 miliardi.
Non è più tempo di ricorrere a soluzioni tradizionali, né di rispondere alle letterine dei maestri europei con la “m” minuscola, bisogna raggruppare gli italiani intorno a un progetto nuovo, originale, che ci possa far convivere con l’euro senza esserne danneggiati dalla sua conformazione usurocratica.
Rinnovo l’invito a darmi la possibilità di rendere operativo quello che consentirà di guardare al futuro con lo stesso spirito dei tempi del miracolo economico italiano.