I mega-fondi sovrani del libero stato di Wall Street continuano a non temere di mostrare il loro volto più temibile: ne sa qualcosa l’editore di Rcs Urbano Cairo, che ha sfidato Blackstone, disconoscendo la vendita della sede del Corriere della Sera. È stato pesantemente controsfidato, con una maxi-causa che potrebbe costare in tutto fino a 600 milioni. È molto più di quanto abbia dovuto investire Cairo Communication tre anni fa per conquistare il controllo di Rcs attraverso un’Opa. Chissà se e quando Blackstone o qualche suo fratello decideranno di puntare qualche centinaio di milioni nei vacillanti gruppi media italiani: ma forse la stagione (quella in cui il Washington Post è stato ceduto a Jeff Bezos e il Financial Times al giapponese Nikkei) è già trascorsa e delle testate storiche italiane – assediate ed erose dal digitale – mantengono un qualche valore forse solo i brand.



Colpisce d’altra parte che Blackrock – parente stretto di Blackstone anche nel nome – sia in questi stessi giorni oggetto di ogni attenzione per il suo interesse al possibile salvataggio di Carige. Secondo ultimi “rumor”, la Banca d’Italia medesima si sarebbe scomodata a tenere al tavolo il fondo, un po’ scoraggiato dalle levate di scudi dei sindacati della banca genovese. Quest’ultima è stata commissariata dalla Bce all’inizio di gennaio, dopo che il principale socio privato (gruppo Malacalza) aveva mandato deserta l’assemblea per un aumento di capitale. Ora i tre commissari stanno faticosamente ricomponendo un puzzle di apporti patrimoniali: in parte dal Fondo di tutela dei depositi (con la conversione di obbligazioni), in parte – per l’appunto – contando sull’iniezione di capitali freschi da parte di Blackrock.



Nel frattempo, certamente, è impossibile non registrare che già tre anni fa un grande investitore internazionale (Apollo) aveva negoziato a lungo con Carige. Negli stessi mesi anche Fortress (oggi Softbank) aveva manifestato un concreto interessamento al possibile turnaround della Popolare di Vicenza, con uno schema analogo: l’acquisto in blocco dei crediti difficili con l’impegno a reinvestire il ricavato nella ricapitalizzazione del gruppo. Entrambi i progetti furono sbrigativamente bloccati dalle autorità monetarie italiane: Tesoro e Bankitalia.

Fu messo in pista in tutta fretta il fondo Atlante per tappare le falle patrimoniali delle due Popolari venete: Fondazioni e banche italiane vi profusero 2,5 miliardi di euro con la motivazione che i salvataggi avrebbero potuto essere realizzati a condizioni più eque di quelle imposte dai mega-fondi, per l’occasione ribattezzati “avvoltoi”. Appena un anno dopo le due Popolari furono poste in liquidazione, incorporate in Intesa Sanpaolo (con aiuti pubblici), mentre gli investimenti in Atlante registrarono immediatamente perdite sostanziali.



Mentre Mps è stato salvato direttamente dal Tesoro (con 5 miliardi di esborso), Carige è stata lasciata marcire per altri due anni. Ora il dietro-front sui mega-fondi di Wall Street: evidentemente benvenuti – senza più alternative – al comando delle grandi banche italiane.