Nei miei ripetuti articoli sull’Argentina ho sempre considerato, vivendola personalmente, la relazione con l’Italia come quella di due fratelli che, sebbene tali, non si riconoscono anche incontrandosi da vicino. Questo perché è da sempre mancata la volontà, da ambedue le parti, non solo di esplorare seriamente la relazione, ma anche di svilupparla, visto il cordone ombelicale che fin dai tempi più remoti della nascita dell’Argentina unisce i due Paesi.



E non sarà una mera coincidenza se pure il nome di Buenos Aires, la sua capitale, sia la sintesi di “Ciudad de Nuestra Señora de los Buenos Aires”, in pratica la Madonna della Bonaria, protettrice dei marinai sardi che facevano parte dell’equipaggio che la “scoprì”, comandato dall’Ammiraglio Pedro De Mendoza. Ma in questi giorni è accaduto una specie di miracolo che ha d’un tratto fatto emergere questa fratellanza rendendola effettiva: e vi dico subito che non è una buona notizia.



Con la messa in scena dell’Operetta politica orchestrata dal Governo Draghi al Senato di mercoledì scorso si è completato il processo, un po’ lungo si dirà, di argentinizzazione dell’Italia e la sua entrata ufficiale nel continente latinoamericano come Paese finalmente fratello. Bisogna dire che ci abbiamo messo tutto l’impegno possibile per ottenere questo risultato, ma alla fine ci siamo riusciti, avendo dimostrato non solo che ambedue

i Paesi posseggono una classe politica situata su di un anello di Saturno di distanza dalla situazione reale delle nazioni, ma anche trattata con emolumenti da capogiro, che viceversa pretenderebbero un’efficienza svizzera delle Camere parlamentari.



Al giorno d’oggi l’Italia è l’unico Paese Ue dove, secondo le statistiche, negli ultimi trent’anni gli stipendi sono diminuiti del 2,9%, occupando l’ultimo posto, ovviamente: ma prima di noi c’è la Spagna che invece li ha aumentati del 6,20%, poi il Portogallo con il 13,70% e successivamente è una parata di nazioni dove ci si trova un gruppo che li ha alzati dal 24,90% dell’Austria al 30,50% della Grecia fino ad arrivare al 63% della Svezia e al 276% della Lituania.

Stiamo parlando di 30 anni… e tutta la storia è iniziata con un Governo che nel 1992 abolì in pratica la scala mobile, unico mezzo per combattere adeguatamente l’inflazione… indovinate un po’ chi era il Direttore generale del Tesoro dell’epoca (Governo Amato)? Un tale Mario Draghi.

L’Argentina è invece attualmente con un’inflazione che supera ormai il 50% annuo, ma gli stipendi hanno al loro interno una specie di scala mobile, che però li difende solo parzialmente visto il valore stellare inflazionario e un cambio del dollaro che ora ha superato i 380 pesos (dai 40 di quattro anni fa).

Torniamo a noi, che, finalmente dal 1986, possiamo ancora “godere” di un’inflazione che quest’anno supererà l’8,7% dopo tanti anni di euro deflazionario (ma ricordiamo il taglio del 50% sul potere di acquisto dei salari con l’arrivo della moneta comunitaria). Nello stesso tempo un Governo definito “dei Migliori” cos’ha fatto dopo l’impennata dei prezzi dovuta allo scellerato aumento delle tariffe energetiche, con la scusa della guerra in Ucraina che invece sta facendo sentire i suoi effetti solo ora? Praticamente nulla: a meno che si voglia considerare importante il contributo di 200 euro (in pratica un’elemosina) e il piccolo taglio delle accise sui carburanti. Aumenti che poi si sono ripercossi sui prezzi, che per alcuni prodotti hanno raggiunto il 43%, riflettendosi pesantemente su stipendi e pensioni rimasti al palo… e di conseguenza portato anche la classe media a fare calcoli per arrivare a fine mese.

E arriviamo anche alle manifestazioni che hanno contraddistinto l’appoggio al Governo di turno: per fortuna quelle citate da Draghi nel suo discorso al Senato si sono poi rivelate incontri di poche decine di persone con bandiere di partito e, come successo a Roma, davanti alla boutique di Luis Vuitton. In Argentina, invece, si dispone di un fronte di partecipanti molto vasto: e cioè coloro che vivono dei giganteschi sussidi dello Stato e che, ogni volta che vengono convocati, oltre a disporre di autobus scolastici che li portano nel luogo degli eventi, ricevono brevi manu circa 2.000 pesos a testa come premio per la loro partecipazione… oltre al pranzo a base di pane e salsicce offerto dalla casa. Certo a noi manca ancora molto per arrivare a questo, ma con il Reddito di cittadinanza abbiamo fatto una buona partenza (vi ricordate Di Maio che gridava di aver sconfitto la povertà dal balcone di palazzo Chigi?) anche se siamo lontani dal record del 70% delle entrate dello Stato per alimentare il fenomeno, che è sempre stato il segreto con il quale il peronismo ha mantenuto il potere: soldi in cambio del voto elargiti con sussidi che via via si sono trasformati in cifre anche più alte di stipendi, ovviamente senza lavorare. Cosa che ha pure provocato il decadimento della cultura del lavoro e aumenti di tasse notevoli per le classi lavoratrici: speriamo che le recenti modifiche al Rdc in Italia possano scongiurare da noi questo fenomeno.

E veniamo ora alle classi politiche: sia quella argentina che italiana risultano, nei rispettivi continenti, le meglio pagate, cosa che, ripetiamo, le pone a una distanza siderale dalla vera situazione delle popolazioni che dovrebbero “servire”. Per non parlare poi delle pensioni, dove si registra il record argentino di quella di Cristina Kirchner, la vicepresidente, che, nonostante sia ancora in piena attività, riceve 4.100.000 pesos mensili, cifra che comprende due emolumenti pensionistici: equivalenti a quanto ricevono 110 pensionati che hanno lavorato più di 40 anni della loro vita. Oddio, in questo campo pure noi italiani siamo dei leader: basti pensare che, per una questione di pochi giorni, tutti gli attuali senatori e deputati di prima nomina potranno contare sul vitalizio.

Altra curiosa coincidenza tra i nostri due Paesi riguarda l’esistenza di opposizioni ai vari Governi che poi, alla fine, non provocano nessun cambiamento nelle politiche e, anzi, spesso ne sono alleati attraverso divisioni interne e repentini cambi di casacca da parte di esponenti politici dediti a un solo scopo: il mantenimento della poltrona. 

Ecco: questo è solo una piccola parte del quadro di due nazioni ormai quasi gemelle che però, a onor del vero, avrebbero a disposizione l’occasione di nuove elezioni per tentare di cambiare un quadro sconfortante e poter sperare in una resurrezione che ha un’unica strada: quella di una politica al servizio del bene comune che possa portare il benessere in due Paesi che, per le loro caratteristiche, dovrebbero essere potenze mondiali e che invece si ritrovano a vivere due crisi notevoli. Sapranno i cittadini rendersi conto che le loro libertà e il loro benessere passano da un’attiva partecipazione non solo alla vita politica ma pure a tutti gli aspetti che possano contribuire a migliorare la propria esistenza? Le risposte si avranno il prossimo settembre in Italia e nell’ottobre 2023 in Argentina. 

Dimenticavo: nonostante il voto in Italia fosse previsto per marzo 2023 e i brogli elettorali con schede truccate abbiano provocato l’ennesima elezione di un Senatore, il voto all’estero per corrispondenza verrà mantenuto nonostante sia chiaro e lampante che l’ennesimo imbroglio è dietro l’angolo, come ormai accade da decenni senza che pure “i migliori” abbiano fatto nulla per cambiare qualcosa: anche qui siamo gli unici al mondo a permettere un voto così modificabile. D’altronde siamo il Paese del Gattopardo: Argentina… arriviamo!

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