Una lunga corrispondenza da Gerusalemme della Civiltà Cattolica e l’intervista contemporanea del cardinale Matteo Zuppi al Fatto Quotidiano hanno presentato tutti i pregi della chiarezza e della coerenza nel ridare forza e attualità al punto di vista della Chiesa cattolica sulla “guerra mondiale a pezzi”. Hanno creato, nondimeno, uno sfondo interessante per tentare interpretazioni dell’escalation interna all’Italia fra la Presidenza della Repubblica e il governo Meloni. Una crisi politico-istituzionale non ancora spiegata del tutto.
La rivista dei gesuiti (organo ufficioso della Segreteria di Stato vaticana) e il presidente della CEI – inviato speciale del Papa sul fronte russo-ucraino – marciano verso mete distinte: la prima contro Israele a Gaza, il secondo con un nuovo e forte appello per un cessate il fuoco fra Mosca e Kiev. Ma entrambi finiscono per colpire frontalmente il neo-bellicismo globale: quello che – secondo il segretario generale uscente della Nato, Jens Stoltenberg – sta preparando un decennio almeno di nuova guerra fredda fra “Occidente euramericano” e “Cina & Russia”, con il “Sud globale” nel mezzo. Con tutti i contraccolpi politico-economici prevedibili e temibili: primo fra tutti un sostanziale arresto della transizione verde a favore di un nuovo boom di spese militari. E poi: ondate di povertà vecchie e nuove, legate alla “militarizzazione” delle risorse e del loro commercio internazionale.
Chiamare alla sbarra il governo Netanyahu per il massacro di Gaza (alla fine più che Hamas per il 7 ottobre) e rilanciare una “pace giusta” fra Russia e Ucraina sono entrambe posizioni “di opposizione” in una fase critica del confronto politico-mediatico occidentale, a tre mesi dalle elezioni europee e a sette dalle presidenziali americane.
Il pressing su Israele, anzitutto, riflette un vasto schieramento all’ONU, riverberato nel processo per rischi di genocidio in corso alla Corte internazionale di giustizia (oltre a marcare una specifica preoccupazione della Chiesa per la libertà religiosa nella Città Santa). Il rifiuto di una “confrontation” con Vladimir Putin “fino alla sua sconfitta finale” si proietta dal canto suo sul duello fra il presidente americano (cattolico) Joe Biden e il ri-sfidante Donald Trump, isolazionista sempre sospettato di sintonie con il Cremlino e sostenuto Oltre Atlantico tanto dalle chiese evangeliche quanto da una porzione forse maggioritaria della comunità israelita.
Nel contempo, dalla Santa Sede di Papa Francesco, da sempre scettico sull’Europa, giungono segnali controcorrente rispetto a una leadership UE in rinnovo, allorché anche la presidente ricandidata della Commissione, la cristiano-democratica tedesca Ursula von der Leyen, ha già delineato una virata di tutte le politiche verso un orizzonte “di guerra”. Ma lo stesso presidente francese Emmanuel Macron, fra l’altro interlocutore privilegiato della Comunità di Sant’Egidio, sta evidenziano un brusco cambio di postura in direzione “guerrafondaia”. E perfino la “riserva europea” Mario Draghi, (mai timoroso delle sue radici educative presso i gesuiti) non mostra esitazioni nel richiamare l’Europa a “riformarsi” per essere più “competitiva” nel nuovo Grande Gioco geopolitico.
Fin qui, comunque, nessuna novità se non quella di un rinnovato sforzo di diplomazia mediatica – ma non disgiunta da un costante afflato pastorale – della Chiesa cattolica a favore della “pace in terra”.
Un esercizio di analisi politico-mediatica – non privo di margini d’errore – può invece traguardare il clash tutto italiano fra Sergio Mattarella e Giorgia Meloni; sulla scia dei “manganelli di Pisa”, ma anche dell’indubbia overreaction del Quirinale, a cavallo del voto regionale in Sardegna. Della vigorosa contestazione della Presidenza alle maniere forti della pubblica sicurezza a Pisa, continua a rimanere nell’ombra politico-mediatica un profilo: che il corteo “represso” dal “governo di polizia” – e invece alla fine difeso dal Quirinale, anche se in forme accuratamente indirette – si era formato per protestare contro Israele e a favore dei palestinesi nei Territori. Aveva cioè l’identica intonazione poi emersa dalle pagine della Civiltà Cattolica. Una linea che certamente confligge con quella del Governo italiano in carica, peraltro allineata con quella ufficiale della UE (a coalizione popolar/socialdemocratica/liberale) e degli USA a presidenza “dem”. Una linea, quella “occidentale”, che continua a poggiare sulla condanna storica dell’antisemitismo e sul continuo riconoscimento “sionista” allo Stato ebraico del diritto a provvedere alla propria sicurezza. Mattarella – peraltro presidente di una Repubblica parlamentare – ha voluto forse accennare a un presa di distanze da questa posizione? Il presidente cattolico ha voluto mostrare attenzione alle sensibilità di Oltretevere?
Nel frattempo non appare di immediata lettura nemmeno un altro dato di cronaca delle ultime ore: la senatrice a vita Liliana Segre (l’unica nominata da Mattarella in quanto testimone dell’Olocausto) ha infatti deciso di procedere – proprio ora – con una querela annunciata in occasione dell’ultima Giornata della Memoria contro l’ex diplomatica italiana Elena Basile, oggi firma del Fatto Quotidiano su posizioni critiche verso USA, UE e NATO sui diversi fronti geopolitici. Basile aveva fra l’altro accusato Segre – testimone della Shoah – di “preoccuparsi solo dei bambini ebrei”.
La dura reazione legale delle senatrice – che continua a presiedere la commissione parlamentare speciale sui fenomeni di odio – non sembra però prestarsi a un’interpretazione univoca.
Da un lato conferma sicuramente una posizione già espressa di “non corresponsabilità” per le scelte del governo Netanyahu e di vicinanza a “tutti i bambini colpiti dalla guerra”: ritrovandosi quindi allineata con la posizione tendenzialmente “terza” assunta dal Quirinale su Gaza. È vero tuttavia che la querela a Basile (che si era già scusata) rimarca una distanza assoluta – più che personale – dagli atteggiamenti “non occidentali” della diplomatica. Né può essere dimenticato che la senatrice è stata sempre in prima fila nella contestazione politica alle forze del centrodestra italiano (anzitutto la Lega di Matteo Salvini: mai gradito al Vaticano e peraltro a suo tempo in buoni rapporti con l’ambasciata israeliana a Roma). La senatrice è stata peraltro in silenzio, finora, sui “manganelli di Pisa”, che hanno scongiurato possibili attacchi ai luoghi ebraici di Pisa, e che sono avvenuti sotto la responsabilità politica di una premier fra i primi leader europei a visitare Netanyahu a Gerusalemme dopo il 7 ottobre. Una premier ieri in visita a Washington dopo essere stata pochi giorni fa a Kiev, come leader del G7 “occidentale”.
In questi possibili risvolti interni, nemmeno l’intervista del cardinale Zuppi appare priva di spunti. Anzitutto è stata rilasciata a un quotidiano critico con il governo e con le sue scelte “occidentali” in Ucraina e in Israele. Il giornale diretto da Marco Travaglio rimane vicino all’M5s di Giuseppe Conte, il partito vero vincitore delle elezioni sarde, assieme al Pd. Quest’ultimo è pilotato oggi da Elly Schlein, bolognese d’adozione ed ex vicegovernatrice dell’Emilia, protagonista con Roberto Bonaccini della vittoriosa “resistenza” al centrodestra alle elezioni 2020; quando dall’arcivescovo di Bologna giunse un indubitabile ruolo di sostegno al centrosinistra. E giusto ieri – sulla Stampa – Schlein ha lanciato un appello “a tutte le opposizioni” per fare della vittoria in Sardegna il piedistallo di una nuova fase politica nazionale, immediatamente protesa verso l’euro-voto del 6 giugno. Cinque anni fa proprio il voto per Strasburgo fu fonte di grandi sommovimenti politici fra Europa e Italia.
Nel maggio 2019 la Lega riportò un massimo storico (34%) in un voto nazionale proporzionale, ma la reazione non si fece attendere, in Italia come in Europa. Il lungo weekend estivo in cui i Capi di Stato e di governo decisero i nuovi organigrammi UE, si aprì con l’assalto militare della “Capitana Rackete” al porto di Lampedusa. Poche ore dopo il premier (grillino) italiano Conte 1 gettò a Bruxelles le basi dell’imminente ribaltone a Roma: votando a occhi chiusi un pacchetto di nomine incentrato su von der Leyen a Bruxelles e ricomprendente la presidenza dell’europarlamento per il “dem” italiano David Sassoli. Poche settimane dopo – ma non prima di una visita in Vaticano durante le consultazioni per la crisi di governo e di un endorsement da parte del presidente USA Donald Trump – Conte fu confermato come premier “trasformista” di una nuova maggioranza M5S-PD in un’operazione condotta per intero nello studio di Mattarella. E nel dibattito di fiducia al Conte 2, la senatrice Segre si segnalò per un’intervento vibrato a sostanziale favore dell’estromissione della Lega, nel quadro di una forte preoccupazione per i rischi di ritorno dell’“odio nazista” in Europa.
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