Non è la prima volta che +Europa e la sua leader Emma Bonino fanno notizia per i finanziamenti ricevuti da George Soros, eternamente noto in Italia come il grande orchestratore dell’attacco speculativo contro la lira nel 1992. Certamente il milione e mezzo che – stando alle affermazioni di Carlo Calenda, non smentite nella sostanza – +Europa avrebbe ricevuto dalla Fondazione Open Society per l’ultima campagna elettorale sembrano qualcosa di più del normale appoggio di un classico “Mr Spectre” alla vecchia amica Emma, già commissario Ue e ministro degli Esteri italiana. Cioè da tempo senatrice dell’establishment internazionale assai più che militante per i diritti civili.
Anzitutto: Soros – israelita ungherese esule dal nazismo – è il dichiarato arcirivale dell’attuale premier di Budapest, Victor Orban. Il finanziere-filosofo – attivissimo nel sostenere la rinascita post-sovietica dell’Ungheria – è certamente fra i più delusi della parabola orbaniana del suo Paese d’origine. Non può quindi sorprendere che abbia voluto intromettersi nel teatro elettorale italiano, in cui – fin da principio – è stata protagonista Giorgia Meloni, storicamente in buoni rapporti con il leader di Budapest.
Stavolta però la complessità della situazione geopolitica ha giocato contro i “desiderata” di Soros: Meloni è oggi molto più “occidentalista” (filoamericana) di Bonino, da tempo usurata come portavoce in Europa di svariati poteri forti atlantici. E già in campagna elettorale la leader Fdi ha annacquato il suo feeling politico con Orban e – come euroleader di Ecr – ha invece rinsaldato i rapporti con i conservatori polacchi del premier Mateusz Morawieski (anche più anti-russo di Soros).
Ma l’ennesimo caso “Soros-Bonino” risalta anche sull’orizzonte più ampio della crisi globale della democrazia. In Europa è subito scattata un’accusa di doppiopesismo: condanne sommarie e inappellabili per i (presunti) aiuti giunti da Mosca ad alcuni leader politici di paesi Ue e invece omertà distratta per i dollari da Wall Street a un partito del centro laico, votato essenzialmente dalle elites metropolitane. C’è tuttavia dell’altro.
Il discorso “d’emergenza” pronunciato l’altra sera nel prime-time televisivo dal presidente Usa Joe Biden ha messo a nudo quanto elementare sia ormai la linea di difesa dei “dem” in vista del voto di midterm della settimana prossima. Per Biden “è in gioco la democrazia”: chi non voterà per i candidati “dem” a Camera, Senato e Governatorati, sarà dunque un eversore non diverso dagli assalitori del Congresso il 6 gennaio 2021. Sarà un “fascista” e una sorta di “nemico interno” della civiltà americana (quando non sia manovrato dalla Russia di Putin, piuttosto che da grandi piattafome di social media). Una narrazione in cui una parte (minoritaria) della più grande democrazia del mondo pretende di delegittimare la metà che fra una settimana ha buone chance di emergere come maggioritaria nelle urne. Sono evidenti tutti i cortocircuiti e le debolezze, già peraltro osservati nella campagna elettorale dei “dem” italiani, incentrata solo sulla demonizzazione degli avversari in nome di un presunto allarme democratico.
La civiltà americana che Biden vede in pericolo appare in realtà l’egemonia globalista che fra Washington e New York è maturata nel trentennio post-reaganiano: senza vere contrapposizioni politiche fino all’inattesa vittoria di Donald Trump su Hillary Clinton, ultima epigona di un’era. Alla quale appartiene anche Soros e invece è sempre stato estraneo un altro israelita: Bibi Netanhyau, che ha riconquistato il timone a Gerusalemme dopo un “Vietnam” politico-elettorale durato per tre anni e cinque voti a raffica. Il fronte “liberal” – fra America e Israele – sta subito paventando la mutazione in democratura anche dello Stato ebraico.
E’ nota la spregiudicata autonomia di “King Bibi” nel far giocare a tutto campo il suo paese fra tecnologie e mercati, guerre e religioni, fra Cina e Russia, Africa e Arabia Saudita. Nessuno dimentica un suo blitz a Washington per un discorso al Congresso senza neppure una visita di cortesia alla Casa Bianca. E’ nota la sua vicinanza a Donald Trump, che gli ha regalato gli Accordi di Abramo per i territori palestinesi.
Quello che è certo è che la lista dei “nemici della democrazia” stilata dagli autonominati “difensori della democrazia” comincia a essere lunga. E i finanziamenti elettorali “democratici” non sembrano più garanzia di vittoria puntuale dei Buoni contro i Cattivi. Che ormai vincono di frequente, e senza colpi di Stato.
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