Calmate le acque da qualche ora, annoto una riflessione ingenua e banale su alcune polemiche che tanto per cambiare hanno riguardato la Chiesa negli ultimi giorni: chiedo una moral suasion per limitare le interviste di vescovi e cardinali. Nessuna censura, per carità: assolutamente convinti che un vescovo è un sacerdote, e cioè un uomo chiamato da Dio a seguirlo nella totalità della sua vita. Un uomo, con la sua storia, formazione, cultura, idee. Anche idee politiche. Ed è pesante che non si possano esprimere liberamente le proprie idee solo perché l’abito che si indossa (i vescovi ancora lo fanno) scatena indignazioni, sospetti, dell’una o l’altra fazione. Extra e intra ecclesiali.
Anche i vescovi votano, e dovranno pur scegliere da che parte stare, nel segreto dell’urna. Però non è bene apparentarsi troppo, date le responsabilità che coinvolgono la Chiesa tutta, che, Cavour docet, dev’essere libera in libero Stato. Vota chi vuoi, parlane coi tuoi amici e parenti, non far trapelare indicazioni dirette alla stampa. Poi tocca ragionare se questo significhi vietarsi del tutto qualsivoglia ragionamento sulla politica: perché chi se non i maestri riconosciuti dalla comunità, le guide scelte per capacità pastorali e intellettuali e spirituali, dovrebbe riflettere sull’andamento della politica?
La politica, cioè il bene comune, della polis. La politica, che soffre di opportunismi, corruzione, corrosione di ideali, fragile, ondivaga, deprivata di personalità e carismi, di fascino, di passione se non per il potere fine a se stesso. Non sono forse preoccupazioni necessarie per un vescovo? Un tempo i vescovi erano i punti di riferimento della città. Siamo ben lieti che non ci si debba genuflettere davanti ai vescovi conti con lo scettro e la spada in pugno, ma un po’ meno se li si relega nelle sacrestie a officiare a porte chiuse, perché o la fede è intelligenza della realtà, o sa incidere sulla concezione delle cose del mondo, o di uno spiritualismo consolatorio ce ne facciamo ben poco.
Un vescovo può parlare e deve parlare della necessità di un impegno di chi si dice cattolico alla realtà sociale e politica. Come, è cosa per i laici. Dove, ancora di più. Ma sta a un vescovo far presente che alcuni temi sono irrinunciabili, e che non si può discostarsi dal magistero. È facile: difesa della dignità della persona, dal concepimento alla morte naturale, con tutto quel che ci sta in mezzo, ovvero le povertà, le persecuzioni, l’odio di genere o di razza, di religione, la tutela dell’ambiente come creazione abitata dall’uomo. Questi i fondamentali, sui quali dialogare con tutti, col diavolo e l’acqua santa, ben sapendo che le parti spesso si invertono, e i diavoli si trasformano in acque sante, magari per convenienza. Dialogare e incontrare tutti, magari senza dirlo in conferenza stampa, che non si manifestino endorsement.
Magari parlando si possono far presenti i valori che ci stanno a cuore. Non gli interessi. Magari parlando si possono scoprire inattese aperture e opportunità. Non interessi. Parlando si possono tessere legami e porre l’attenzione sulle situazioni più spinose da risolvere. Senza interessi. Questo è esercizio di libertà, anche se non suscita titoli di giornali. Noi poveretti che ci ostiniamo a sentirci parte della Chiesa, a seguirla come possiamo, siamo confusi, se non sconcertati, se non depressi o arrabbiati a vedere tifoserie contrapposte, che usano i nostri pastori per dividere. Questo sì è diabolico.