L’inflazione ha smesso di mordere. Vittima dei suoi stessi tempi e delle recenti evoluzioni sui rispettivi mercati di riferimento riconducibili a ciascun componente oggetto di misurazione, l’accademico “livello dei prezzi al consumo” ha perso mordente. Da qualche tempo si è smesso di parlare di “morsi” o qualsiasi altra forma di incisione, nessuna forma di ferita, nessuna lacerazione. Una sorta di fiera, innocua, mansueta e apparentemente sdentata pressoché confinata alla storia. Una storia, quella dell’inflazione, che nonostante il suo recente mutamento lascia, comunque, una traccia costante e periodica.
Anche ieri, infatti, come consuetudine è giunta la rilevazione da parte di Eurostat che, attraverso il suo ampio spettro di osservazione ha circoscritto il perimetro dell’inflazione all’interno dell’area euro e dell’Unione europea. Per la prima, il dato annuale di giugno si è attestato a quota +2,5% che, se raffrontato a quello di maggio (+2,6%) archivia un miglior ammontare. Anche nella più ampia Unione europea il +2,6% dello scorso mese primeggia rispetto al precedente +2,7%.
Nell’intero panorama del Vecchio continente a occupare il prestigioso primato di top performer troviamo la Finlandia che, beneficiando di un’inflazione al +0,5% annuo, occupa meritatamente il gradino più alto di questo ipotetico podio. A seguire, udite, udite, noi. Sì, proprio noi, l’Italia. Quella penisola a forma di stivale che il più delle volte si distingue per i suoi innumerevoli lati negativi. Ieri, invece, no. Infatti, il Bel Paese segue (non troppo a ruota) la nordica Finlandia con un saldo a +0,9% anticipando di un solo decimale la Lituania (+1,00%). Quello italiano è sicuramente un traguardo da non sottovalutare che, almeno per questo fugace frangente, deve essere riportato a conoscenza di tutti. Il più possibile.
Ad alcuni dei nostri abituali lettori queste ultime parole suggeriranno una particolare attenzione. È vero, lo confermiamo, bravi. Quel citato «fugace frangente», infatti, non è stato inserito a caso e la motivazione è presto riscontrabile andando indietro nel tempo di sole quarantottore. Nella mattinata di martedì Istat ha diffuso i dati definitivi dei prezzi al consumo domestici che, confermando quanto già riportato da Eurostat, evidenziano un’inflazione tricolore decisamente soddisfacente: «Nel mese di giugno 2024, si stima che l’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività (NIC), al lordo dei tabacchi, registri un aumento dello 0,1% su base mensile e dello 0,8% su base annua come nel mese precedente, confermando la stima preliminare».
Anche l’indice armonizzato dei prezzi al consumo (IPCA) archivia giugno come in sede di stima preliminare ovvero con valori inferiori all’unità: +0,9% su base annua rispetto al +0,8% di maggio. Ne consegue che, sulla base di queste rilevazioni, l’inflazione acquisita vede un +0,8% per l’anno in corso. Quest’ultimo dato, duole ammetterlo, per molti, moltissimi (ancora troppi) cronisti, non sembra essere pervenuto nella loro memoria e, sovente, in alcuni approfondimenti di natura finanziaria si apprendono “numeri” assai diversi. Pertanto: +0,8% è l’inflazione (da inizio anno) nel nostro Paese. Ricordiamolo.
Torniamo, ora, a quel sopracitato «fugace frangente». I valori di cui abbiamo trattato finora sono indiscutibilmente ottimi e il ranking su base europea ne conferma l’oggettiva rilevanza. A nostro (umile) parere, però, l’attuale idilliaco momento potrebbe verosimilmente terminare. La riprova può essere dedotta dalla stessa informativa di Istat in materia di “inflazione di fondo” che, sempre a giugno, «al netto degli energetici e degli alimentari freschi, registra un calo, come anche quella al netto dei soli beni energetici (entrambe da +2,0% a +1,9%)».
Questa “voce” viene spesso sottovalutata, ma, guardando alla sua specifica connotazione, l’importanza che ne deriva è fuori discussione. Guardando le serie storiche dell’ultimo anno la dinamica ribassista che ha caratterizzato la componente di fondo non può certamente lasciare indifferenti: dal +6,1% del 2023 all’attuale 2,00%. Parallelamente, però, l’indice generale dei prezzi è passato da quota +6,7% all’ormai noto +0,9%. Appare evidente, quindi, una correlazione tra i due livelli di prezzo, ma con approdo finale alquanto diverso. Molto diverso.
Anche quest’ultima sottolineatura comprendente un nostro «molto» la riteniamo doverosa, poiché l’entità del due percento potrebbe non destare preoccupazione se fosse isolata all’ultimo periodo osservato, ma, purtroppo, con uno sguardo al passato si prende atto come l’attuale livello si sia costituito sul finire del lontano 2021 per, ancora oggi, persistere dopo aver inanellato i suoi stessi massimi seguiti da una graduale diminuzione. L’inflazione di fondo è (attualmente) e potrà essere (in futuro) un problema che se sottovalutato avrà un impatto significativo sulle tasche degli italiani.
Morsi o meno, il nostro timore è quello che, oggi, questo elemento non sia stato sufficientemente approfondito in termini concreti attraverso misure mirate su singole e specifiche categorie di beni. Il già elevato costo su alcuni di essi è presente e conferma la sua resilienza da parecchio tempo (da oltre tre anni). Si vuole continuare senza intervenire? Se così sarà, allora, non ci saranno morsi o altre fattispecie di essi. Il rischio di essere sbranati sarà reale, ma, con infinita e piacevole delicatezza.
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