Nel marzo 2006 mancava un mese alle elezioni politiche e Paolo Mieli – allora al suo secondo mandato come direttore in via Solferino – scrisse che lui (il Corriere della Sera) avrebbe votato per l’Unione: il nuovo “pullman” su cui Prodi (fresco reduce dalla presidenza della commissione Ue) ritentava la scalata elettorale a Palazzo Chigi, dieci anni dopo la prima vittoria dell’Ulivo.



Il secondo quinquennio di centrodestra (iniziato male al G8 di Genova) si stava concludendo in grigio scuro: poca crescita nella fase di lancio dell’euro; poche riforme, poca coesione all’interno dello stesso centrodestra (tanto che il Berlusconi 2 andò addirittura in crisi). Soprattutto: l’ultimo anno della legislatura fu polarizzato dalle “guerra delle banche”: le Opa dell’olandese Abn Amro su AntonVeneta e dello spagnolo Bbva su Bnl “contrastate” dal proto-sovranismo bancario del governatore Antonio Fazio, sostenuto da Popolare di Lodi, Unipol e finanzieri d’assalto come Stefano Ricucci. Ci finì in mezzo anche il Corriere di Mieli, costretto a difendersi da un vasto fronte di azionisti bancari: Mediobanca, Intesa (non ancora fusa con Sanpaolo-Imi) e Capitalia, non ancora incorporata da UniCredit.



Quando Mieli fa il suo endorsement per Prodi il campo di battaglia è ancora fumante. AntonVeneta è appena finita a Abn Amro (l’anno dopo sarà subito rivenduta a Mps) e Bnl alla francese BnpParibas su intervento autoritativo della Procura di Milano. Gianpiero Fiorani, regista della fallita controscalata “nazionale”, e Ricucci (che aveva accumulato il 18% di Rcs) finiscono per mesi in custodia cautelare. Fazio viene incriminato per cattiva vigilanza e costretto a dimettersi da Bankitalia e in Via Nazionale il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, a fine 2005, richiama da Londra Mario Draghi, suo antico direttore generale al Tesoro durante il Prodi 1.



In quella vigilia elettorale 2006 è palpabile il clima di “resistenza/restaurazione anti-berlusconiana”: lo stesso che aveva del resto accompagnato la prima, riuscita “controffensiva” del 1996. Dieci anni dopo, tuttavia, il responso delle urne è assai meno netto. I dieci punti di vantaggio di Prodi su Berlusconi a inizio campagna diventano 24mila voti (molto controversi) la mattina del 10 aprile. E la nuova legislatura dura solo due anni. Inizia con un rinnovo al Quirinale assai meno lineare di quello che aveva eletto Ciampi: Giorgio Napolitano – candidato vincente all’ultimo compromesso interno fra Margherita e Ds – non ottiene un solo voto dall’opposizione.

Il secondo biennio prodiano si caratterizza – come il primo – per i “grandi affari”: le due fusioni bancarie “finali” (Intesa Sanpaolo sotto la presidenza di Giovanni Bazoli e UniCredit-Capitalia con Alessandro Profumo al timone); ma anche due “fasi 2” non riuscite per due grandi privatizzazioni del Prodi 1. Autostrade viene fermata nel tentativo di fusione–vendita ad Abertis da parte della famiglia Benetton, mentre sfuma un grande riassetto di Telecom, con lo scorporo della rete presso Cdp e un’alleanza televisiva con Sky.

Sul piano più squisitamente politico, d’altronde, il grande auspicio di Mieli non manca di concretizzarsi. Nel 2007 nasce finalmente il Pd e il primo leader ne è Walter Veltroni: cavallo di razza Pci-Pds-Ds ma anche vicepremier del Prodi ulivista. Un anno dopo, però, neppure il tifo di Mieli evita a Prodi di inciampare sul “caso Mastella” e a Veltroni di riportare all’esordio, contro il Cavaliere, una sconfitta elettorale talmente secca da decretare la fine della sua carriera politica. Quel Pd, fra l’altro, dal 2008 in poi non riesce mai a vincere una sola elezione generale: salvo abitare le stanze del governo per tutti gli anni successivi, se si eccettua la parentesi gialloverde del Conte 1. È un Pd che nel 2015 è riuscito a issare Sergio Mattarella al Quirinale e fa tuttora parte della maggioranza di governo: ma non prima di aver visto implodere il Conte 2 (esecutivo “Orsola” lanciato da Prodi) nonostante la scommessa strategica di Nicola Zingaretti sulla coalizione con M5s.

Ora Mieli sul Corriere spinge con tenacia una “maggioranza Ursula” (Pd a guida Enrico Letta e M5s “contiano”, post-Grillo) facendo eco esplicita a una nuova chiamata alle armi da parte dell’ormai 81enne Prodi. Al prossimo voto politico, per la verità, mancano ancora due anni. Ma le elezioni nei grandi comuni sono in calendario fra sei mesi. E il rinnovo del Quirinale poco dopo. Chissà come andrà a finire stavolta.

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