Il notiziario incalza approfondimenti a ritmo serrato all’incrocio fra guerra di Gaza, proteste anti-israeliane nelle università italiane e sviluppi politici. Scegliervi un punto d’ingresso appare però sempre più difficile, più ancora che cercare direzioni d’uscita.
Un osservatore italiano basato negli Usa – Federico Rampini – è partito dal “gesto della pistola” di uno studente a Montecitorio contro la premier Giorgia Meloni per una riflessione sociologica sulla “generazione Z” in tutto l’Occidente. I nati fra gli anni 90 e il primo decennio del secolo in corso coverebbero ansie e rabbie come i boomers negli anni 70 (e allora in Italia alcuni impugnavano vere P38) pur disponendo di libertà e opportunità come mai una giovane generazione finora. E la (ri)scoperta della violenza come strumento d’espressione e d’azione sociopolitica si starebbe scaricando contro un spettro storico: il “capitalismo imperialista” incarnato dall’EuroAmerica. Di qui – anche – la solidarietà alla causa palestinese contro Israele, peraltro in un intrico di contraddizioni politico-culturali.
Il politically correct globalista – debitore in via determinante dell’intellettualità israelita progressista negli Usa nell’ultimo trentennio – si va infatti ritorcendo contro uno Stato ebraico governato da una destra nazionalista e religiosa, sospetto di degrado anti-democratico a Gerusalemme e spietatamente militarista nei Territori. Le marce nei campus – che non si sono viste o quasi contro la Russia putiniana all’attacco in Ucraina – finiscono così per minacciare ora in America la rielezione del presidente “dem” Joe Biden (attendista su Gaza) quando invece stanno crescendo, nella comunità israelita di Oltre Atlantico, i consensi a Donald Trump, alleato di ferro di Netanyahu nella lotta senza quartiere a ogni “antisionismo”.
La frattura – intrinsecamente israelita – fra Harvard e Wall Street, con il New York Times ondeggiante come la Casa Bianca in un gioco di specchi, è un fatto alla fine tutto interno agli Usa, destinato a condizionare le presidenziali di novembre dopo aver già inferto colpi duraturi a roccaforti accademiche e mediatiche (e non è un caso che la stessa Goldman Sachs sia in crisi senza precedenti di profitti e reputazione).
Il caso italiano sta raggiungendo eguali livelli di intensità, visibilità e complessità e lo “schema Rampini” offre certamente importanti spunti interpretativi (compreso il richiamo agli anni di piombo). Il contesto politico-culturale mostra tuttavia peculiarità proprie e riallineare semplicemente la cronaca degli ultimi giorni può già costituire un esercizio utile.
All’ultima Giornata della Memoria – una cinquantina di giorni fa, quattro mesi dopo il 7 ottobre – il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha riaffermato con tono solenne la condanna assoluta di ogni antisemitismo (che secondo Israele ricomprende anche l’“antisionismo” e quindi ogni contestazione all’uso della forza in chiave difensiva). Nella stessa occasione la senatrice a vita Liliana Segre – presidente di una commissione parlamentare sul contrasto ai fenomeni d’odio e storicamente critica verso le forze del centrodestra italiano – ha riproposto senza esitazioni la sua testimonianza della Shoah, sottolineando peraltro di “non rispondere” del governo israeliano. A quell’epoca la posizione ufficiale del Governo Meloni risultava allineata con quella originaria Usa e Ue di condanna dell’attacco di Hamas e di vicinanza a Israele (anche se con crescente preoccupazione umanitaria per Gaza); e di attenzione attiva per le minacce iraniane nella regione, anzitutto al traffico commerciale nel Mar Rosso.
Un mese dopo, un corteo anti-israeliano di studenti e attivisti di centri sociali viene “manganellato” a Pisa dalle forze dell’ordine. Il Quirinale reagisce con durezza: la libertà di pensiero e parola in Italia è costituzionalmente sacra. Il governo accusa ricevuta del richiamo e non replica (resta in silenzio anche la comunità israelita nazionale); mentre nell’opposizione di centrosinistra la polemica è quasi del tutto strumentale al voto amministrativo in Sardegna (e spicca la relativa distanza dai cortei della leader Pd Elly Schlein, figlia di un politologo israelita “liberal” americano).
Una settimana dopo le manifestazioni filo-palestinesi si ripetono in numerose città d’Italia, senza incidenti. È però così che – a differenza di pochi giorni prima – risuonano ovunque contestazioni verso Meloni (senza sorprese per un premier di centrodestra, allineata con Gerusalemme e dopo i “manganelli”); ma anche verso la senatrice Segre, e questa invece è una prima assoluta per una figura iconica, stimata senza riserve anzitutto nel mondo scolastico e adottata da diverse ondate di “sardine” a sostegno di campagne politico-mediatiche della sinistra.
In un relativo silenzio politico-mediatico, la senatrice Segre abbozza una difesa personale (Repubblica ospita un’intervista al figlio, mentre Corrado Augias apre una serie – non foltissima, e con alcune assenze – di interventi di deplorazione su varie testate, prima di riattizzare in un programma televisivo la polemica anti-cattolica sul comportamento di Papa Pio XII durante l’Olocausto). In silenzio relativo si mantiene la comunità ebraica nazionale di fronte a uno sviluppo inedito, in cui un governo “post-fascista” mostra fermezza sia a difesa di Israele che degli israeliti italiani mentre è il Quirinale “dem” (che ha nominato Segre senatore a vita) che chiede tutela per i cortei anti-israeliani, che mescolano talora pacifismo e vero e proprio antisemitismo. Un umore giovanile riecheggiato negli stessi giorni anche dal rapper Ghali a Sanremo (peraltro subito sconfessato dalla Rai).
L’escalation però continua, fino a due episodi chiave: la contestazione del direttore di Repubblica, Maurizio Molinari, tacciato di “sionismo” all’Università di Napoli, e l’occupazione dell’aula del senato accademico dell’Università di Torino, fino a ottenere (con la forza) che l’ateneo interrompa le relazioni con Israele.
Il Quirinale si vede costretto a reagire, anche se al prezzo di un parziale “contrordine”, denunciando cioè l’“intolleranza” crescente negli atenei italiani. Palazzo Chigi, dal canto suo, esibisce un comprensibile “aplomb”. Meloni si dice ovviamente preoccupata, ma una premier che ha visitato Gerusalemme pochi giorni dopo il 7 ottobre e ha avuto la responsabilità politica ultima dei “manganelli” di Pisa non si sente afflitta da imbarazzo alcuno, su nessun fronte. Si può perfino permettere di esprimere – in Parlamento – l’appello geopolitico/umanitario per un cessate il fuoco immediato a Gaza (ne ha appena discusso, nei panni di presidente di turno del G7, con Biden alla Casa Bianca). Il capo del Governo si sta vedendo – stavolta – non strigliare ma rincorrere dal Quirinale in direzione della “pace”: non solo “giusta” in Medio Oriente, ma anche civile e ordinata nel Paese. Non da ultimo, Meloni ha potuto udire la presidente dell’Unione delle comunità ebraiche italiane, Noemi Di Segni, sollecitare – letteralmente – “l’intervento della polizia” per garantire la sicurezza degli studenti israeliti nelle università italiane.
La stessa Di Segni aveva rotto il silenzio attaccando frontalmente il segretario generale della Cgil Maurizio Landini, tuttora figura leader nella sinistra italiana (non escluso l’antagonismo M5s), in piazza contro il (presunto) “genocidio” dei palestinesi. Schlein, nel frattempo, resta in sostanziale silenzio. Un atteggiamento innervato nella strutturale ambiguità del Pd sia sull’Ucraina che su Gaza: un momento, alla fine, di rara coesione nel partito. Una postura che non esclude la componente “cattodem”, sul cui versante, infatti, non sta mancando cronaca di rilievo.
Un mese dopo la dura replica dell’ambasciata israeliana presso la Santa Sede a un Angelus di Papa Francesco, l’altroieri la presentazione dell’ultimo libro del presidente della Cei, cardinale Matteo Zuppi, ha visto allo stesso tavolo Molinari, il Preposito generale della Compagnia di Gesù Arturo Sosa e il Presidente della Comunità di Sant’Egidio Andrea Riccardi. Un momento esplicito e plastico di ricerca di “ponti” in un mondo – e in un’Italia – nel quale vecchie voragini si stanno allargando mentre se ne aprono di nuove. Ma il tentativo si presenta certamente arduo.
Quattro anni fa il Pd di Schlein, la senatrice Segre, Sant’Egidio, Repubblica, gli studenti in piazza si ritrovarono uniti in un’importante battaglia elettorale vinta, in occasione delle elezioni regionali in Emilia-Romagna. A Palazzo Chigi c’era Giuseppe Conte, sostenuto da Pd e M5s dopo il ribaltone avvenuto sotto l’occhio attento del Quirinale a valle dell’ultimo euro-voto. Alla vigilia del rinnovo del Parlamento europeo la situazione appare molto diversa. Ma la cronaca ci sta abituando a novità quotidiane.
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