L’accordo federale fra Azione e +Europa è stato annunciato con uno scopo preciso: candidare Emma Bonino al Quirinale. La mossa appare meno “wild” di quanto dicano i 5 parlamentari che hanno il loro riferimento nominale in questo nuovo “partito di programma”. Né sembra banale che l’operazione abbia preso forma subito dopo lo “spariglio” di Silvio Berlusconi, di traverso alla conferenza stampa del Premier Mario Draghi lunedì; e dopo l’affannoso rientro del Pd di Enrico Letta sull’ipotesi di conferma di Sergio Mattarella.
Potrebbero essere più numerosi di cinque – forse anche parecchio – i voti che potrebbero convergere sull’ex esponente radicale fin dal primo scrutinio a Camere riunite, in calendario fra 11 giorni. Una prospettiva non impossibile se lo stallo fra le forze politiche dovesse prolungarsi fino ad allora. E una Bonino in campo (magari con un primo pacchetto di suffragi a tre cifre su un tabellone innervosito dall’assenza di candidature reali) avrebbe come primo effetto probabile quello di indebolire entrambe le candidature finora “di pietra”, quelle del presidente uscente e quella del premier in carica. Una Bonino “selvaggia” disturberebbe l’ipotesi Draghi e quella Mattarella-bis sia nel caso in cui entrambe venissero lasciate inizialmente a “dormire”, sia che venissero azzoppate da esiti numerici minoritari e deludenti.
Il leitmotiv di queste ore nella corsa al Quirinale resta comunque questo: il centrodestra cerca un candidato per interrompere il monopolio del centrosinistra sul Colle, ma non può prescindere da “larghe intese”, né dall’autocandidatura ferma di Berlusconi. Bene: chi meglio di Bonino – almeno sulla carta – ha i numeri per risolvere la complicatissima equazione politico-istituzionale?
Bonino è oggi senatrice del centrosinistra, dopo essere stata ministro nel Governo Prodi-2 e in quello guidato da Enrico Letta. Ma è stata anche eletta alla Camera nel perimetro di Forza Italia quando Berlusconi è sceso in campo nel 1994: ed è stato il Cavaliere a promuoverla subito commissario Ue, assieme a Mario Monti. Bonino ha poi rafforzato il suo profilo geopolitico come ministro degli Esteri nel Governo presieduto dall’attuale leader Pd (inizialmente sostenuto anche dal PdL). In quella veste ha firmato per l’Italia gli Accordi di Dublino, tuttora in vigore sul delicatissimo fronte delle migrazioni: un format inizialmente di successo nel Mediterraneo, poi messo a durissima prova dalle crisi degli ultimi anni, ma tuttora il quadro politico-diplomatico in vigore ai confini europei.
Europarlamentare di lungo corso, Bonino ha avuto come bussole sia i Verdi che i liberali: due raggruppamenti oggi forti a Strasburgo. È stato da euroliberale che un anno fa la bocconiana Bonino ha votato la fiducia al Governo Draghi. E una vita di battaglie radicali e libertarie non le ha impedito di incrociare i suoi percorsi recenti con quelli del finanziere planetario George Soros (fra l’altro bestia nera del Premier ungherese Viktor Orban e di tutti i neo-sovranismi est europei).
Difficile immaginare un “prima Presidente donna” con più esperienza politica e di governo, a tutto tondo. E non sarebbe affatto lontana dal suo stile una disponibilità per una “presidenza a tempo” in attesa dell’elezione del Parlamento in formato ridotto.
I prossimi giorni già diranno se la collaudata “quota rosa” (nel pugno radicale) ha reali prospettive di fiorire sul Colle più alto della Repubblica. Soprattutto se al lavoro come giardiniere-ombra ci fosse già Berlusconi.
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