Nella cronaca milanese di Repubblica di sabato non passava inosservata una pagina auto-promozionale per “D-Incontri, Musica & Altro”: una due giorni di eventi-show organizzati a Milano dal settimanale femminile di Gedi in collaborazione con le radio del gruppo (Dee-Jay, Capital e M20). La location prescelta è decisamente smart: il Volvo Studio, nello stesso district di Corso Como, del Bosco Verticale, di Eataly Smeraldo, di UniCredit Pavillon, di Anteo multisala e della nuova Fondazione Feltrinelli. Più a nord ci sono subito i locali-movida dell’Isola (e poco oltre NoLo, il nuovo Village multietnico meneghino); a ovest ci sono le botteghe di Chinatown e a sud si è già quasi in centro: a Brera e nel Quadrilatero della moda.



La due giorni – un giovedì e un venerdì – propone essenzialmente due long happy hour, con cantanti come Paola Turci, Myss Keta, Yola assieme a performer mediatici come Albertino e Rudy Zerbi, oltre al direttore di D, Valeria Palermi.  “Ascolta, divertiti e canta: on stage ogni sera concerti e talk show aperti. D-La Repubblica darà voce, spazio e visibilità a personaggi femminili più iconici del mondo della musica”. È il blueprint  di un’iniziativa che merita probabilmente qualche attenzione in più del semplice “dove si va stasera”.



La prima riguarda sicuramente il nuovo attivismo di Gedi e della sua testata “ammiraglia” sotto la guida di Carlo Verdelli: il quale – anzitutto – inizia a muovere offensive editoriali dirette nel cuore della Corriere-land, a un solo chilometro dal “castello” di via Solferino, da lui del resto perfettamente conosciuto. Repubblica – anima romana e testa torinese – col milanese Verdelli prova a sfidare in trasferta il simbolo giornalistico dell’ambrosianità. E sembra voler giocare con i nuovi moduli imposti del principale concorrente: Urbano Cairo, l’ex manager Fininvest chiamato a rilanciare lo stesso Corriere della Sera



In sintesi (forse brutale): i quotidiani – più in generale i media su qualsiasi piattaforma – sono sempre meno prodotti autonomi da collocare sul mercato con margine e sempre più veicoli strumentali inseriti in una “catena del valore” complessa. Il medium (cartaceo o digitale) è il front-line orientato a catturare contatti di valore, stabili e profilati. Community e “tribù” agganciate da un brand sono ormai il suo vero asset: fondamentale per intercettare l’interesse di un marketing “4.0”: rivoluzionato dal digitale. La “adv” tradizionale è obsoleta (da anni è in caduta inarrestabile per i quotidiani tradizionali) e con essa si va inaridendo la principale fonte storica di ricavo per gli editori, assieme a una diffusione pure in crisi irreversibile. La ricomposizione del fatturato non può che passare quindi da prodotti finali diversi – come gli eventi o altri co-business –  oltre naturalmente alla rivendita dei “contatti a valore” agli Ott, ormai dominanti nella raccolta e gestione globale della pubblicità digitale in senso lato.

Repubblica – che ha appena annunciato una strategia di rilancio nel mercato digital media – non inizia da oggi la penetrazione del mercato degli eventi, peraltro letteralmente aggredito da Rcs negli ultimi due anni. I festival delle Idee sono un format consolidato: forse anche più delle filiere di show inventate a ritmo serrato dal Corriere di Cairo attorno a imprese e consumi. Ma un conto è difendere e consolidare la quota di (e)lettori di Repubblica convocandoli ad ascoltare Eugenio Scalfari e Roberto Saviano a Bologna un sabato pomeriggio; un conto sicuramente diverso è richiamarli nell’early friday night  a Milano con le star dei talent da prima serata.

Il messaggio, d’altronde, non cambia, anzi: era comprensibilmente attesa la radicalizzazione complessiva dei contenuti della “nuova Repubblica” di Verdelli, appena giunta in edicola restilizzata. Nel mercato “delle Idee” mai come oggi c’è continuità fra la neo-cultura della “resistenza civica” – essenzialmente contro il milanese Matteo Salvini – e l’happy hour identitaria, “antifascista”, peculiarmente “centro-milanese”. Un’appartenenza che il giornale-partito per eccellenza prova a rilanciare sul mercato dopo il collasso forse definitivo del Partito. Un partito – sia stato negli ultimi anni quello di Pierluigi Bersani o di Matteo Renzi od oggi quello di Nicola Zingaretti – che milanese non è mai riuscito a essere: troppo vetero-ideologico oppure troppo posticcio nell’imitazione del politicamente corretto. Così come è evidente – anzitutto a Milano – che la retorica dell’antifascismo resistenziale in sé non è una strategia politica e non ha un futuro elettorale. 

Detto senza alcuna ironia, anzi: la vera “resistenza” – nel ridotto milanese del sindaco Beppe Sala – si combatte nelle trincee dell’happy hour, presidiate dai ceti medi metropolitani delle nuove professioni e dell’imprenditoria innovativa. Che non voteranno mai Lega, neppure di fronte a una flat tax degna di questo nome. Che forse hanno votato M5S, ma non molto: e anche in questo caso con convinzione scarsa e calante di fronte al meridionalismo assistenziale di Luigi Di Maio, al sindaco anti-Tav di Torino, a quello impotente a tutto di Roma. Sono soprattutto elettori più che potenziali del “partito di Milano”, che è essenzialmente un tentativo di rifondare il Pd. E che – paradossalmente – può trovare in Repubblica un riferimento politico-culturale più solido anche rispetto al Corriere, da 143 anni “preghiera mattutina” del riformismo di mercato lombardo. Ma è proprio l’editore del Corriere a trovarsi oggi al centro di voci di “discesa in campo” per raccogliere il testimone politico da Berlusconi alla guida del centrodestra. Un premier milanesissimo, il Cavaliere, che ha raccolto (anche) l’eredità della “Milano da bere” craxiana. 

Ma – salvo che come patron del Milan – Berlusconi della sua città non è mai riuscito a essere leader vero. Lui che, in una tornata elettorale, dalle torri di Cologno Monzese ha sbancato l’intera Sicilia, per conquistare palazzo Marino ha avuto bisogno di figure come Gabriele Albertini e Letizia Moratti. E ha regolarmente perso in città tutte gli ultimi test elettorali: il popolo delle happy hour ha votato Giuliano Pisapia e Sala e un anno fa ha usato +Europa per uno primo sberleffo “resistenziale” dal centro di Milano. Non sarà una partita facile, anzi: ma il nuovo direttore di Repubblica mostra – facendo il suo lavoro – di aver tutto perfettamente chiaro, a cominciare dall’assenza di alternative. In attesa che i politici veri smettano di tirar tardi nelle trattorie romane attorno al Pantheon.