È sempre preferibile non dire “noi l’avevamo detto”. Però è un fatto che sul Sussidiario abbiamo detto che l’ospedale della Fiera di Milano era una buona storia italiana – come quello costruito dagli Alpini a Bergamo – mentre altri hanno sullo stesso tema detto e scritto ben altro (fino a deridere Guido Bertolaso, contagiatosi nel cantiere; oppure a chiamare subito a gran voce la Procura di Milano, peraltro subito accorsa).
Oggi sul Sussidiario vogliamo ripetere quel giudizio: è stato un caso di sussidiarietà ambrosiana in azione. Liberi sempre gli altri di continuare di dire il contrario (mentre la Procura di Milano continua a indagare la sanità lombarda: con ritmi molto diversi da quella di Roma sulla sanità laziale o sull’operato del governo durante l’emergenza).
L’ospedale della Fiera è stato e resta anzitutto un fatto, una realizzazione, non diversamente da come lo era stata l’organizzazione dei primi soccorsi a L’Aquila (tanto che il presidente Usa, Barack Obama, raccomandò l’intervento di Bertolaso ad Haiti). Il primo padiglione (con una cinquantina di posti in terapia intensiva) è stato consegnato alla Regione Lombardia il 7 aprile scorso: un mese dopo l’inizio del primo lockdown, che si sarebbe protratto per un altro paio di mesi. Per costruirlo si sono mobilitati 1.200 donatori privati, che già entro la fine di marzo avevano versato 21 milioni (il rendiconto disponibile dice che ne sono stati spesi 17). L’ospedale della Fiera riapre ora i battenti per la nuova emergenza sanitaria, pronto ad accogliere 153 pazienti Covid (se necessario anche dalle Rsa, che restano il segmento più fragile del fronte epidemico).
Già a metà dello scorso marzo, il Dpcm-capostipite “salva Italia” aveva nominato Domenico Arcuri commissario nazionale all’emergenza sanitaria, affidandogli un budget nominale di 6 miliardi. Sette mesi dopo lo stesso Arcuri è alle cronache per 1.600 respiratori artificiali che avrebbero dovuto essere già operativi e invece semplicemente non ci sono; e promettendo “entro due mesi” il raddoppio della capacità di “tamponamento” quotidiano della popolazione.
Non c’è altro da aggiungere per ripetere che l’ospedale della Fiera di Milano è una buona storia italiana. Liberi altri media di dire che invece raffigura l’Italia peggiore, mentre la migliore sarebbe rappresentata dal premier Giuseppe Conte o dal presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti.
P.S. Quando i donatori dell’ospedale della Fiera hanno sborsato in tre settimane una ventina di milioni – rigorosamente senza i bonus fiscali riservati ai miliardari americani – né il Mes né il Recovery Fund erano ancora stati partoriti dall’Europa, principalmente su pressanti richieste italiane. Conte non aveva ancora potuto gloriarsene per settimane in tv. Salvo poi lasciare il Paese ancora senza i soldi promessi, senza nuove terapie intensive, senza tamponi.