Ci sono alcuni segreti per diventare un conduttore di fama come Amadeus:
1) Aver fatto una buona gavetta.
2) Aver saputo frequentare quelli che contano.
3) Padroneggiare il ritmo radiofonico e televisivo secondo le prassi stabilite dagli editori.
4) Eseguire sempre le richieste del marketing musicale.
5) Avere un agente potente.
6) Interpretare e diffondere alla perfezione il pensiero unico/relativista del momento.
7) Mai vergognarsi di nulla, anche di fare l’autore e il direttore artistico.
Il tutto si inquadra nella lenta, degradata evoluzione dei mezzi radiotelevisivi avvenuta negli ultimi quarant’anni. Finché in tv non esisteva lo stimolo della caccia all’audience, autori, registi, conduttori, attori, agivano perseguendo il miglior risultato possibile sia dal punto di vista tecnico che da quello culturale in senso stretto e in senso lato. Analogamente è successo con la radio, che però ha cambiato completamente pelle con l’avvento delle cosiddette radio private, altrimenti dette libere. All’inizio, era il 1976, una delle primissime, Radio Milano International, trasmetteva intere facciate di LP. A un certo punto, alcuni disc-jockey da discoteca si accorsero che avrebbero potuto avere un futuro in radio, non solo per la capacità di preparare scalette musicali, ma anche per quella di intrattenere gli ascoltatori con la loro parlantina.
Claudio Cecchetto fu uno dei più svegli, in grado di diventare imprenditore, produttore e talent scout. Tutto nel solco di una radio costituita da una programmazione musicale imposta dai produttori e dalle case discografiche, un fenomeno che si è riprodotto poi in tv con tutti i festival musicali possibili e immaginabili, Sanremo incluso.
Qui si occorre fare una breve digressione, che non riguarda solo la musica.
Da un certo momento in poi, i grandi editori si sono mostrati sempre più sensibili al gusto della massa, pubblicando soprattutto libri capaci di vendere in base ai gusti del momento. Tra i tanti, possiamo citare il caso del “Signore degli Anelli”, che nel 1954 la Mondadori rifiutò perché si riteneva che non avrebbe incontrato il gusto degli italiani.
È avvenuto così che sempre più di frequente, editori letterari e musicali si sono trasformati in librifici e dischifici gestiti secondo i dettami del marketing commerciale.
La coazione a ripetere, il moltiplicarsi dei “me too” (letteralmente “anche io”) ha portato a un progressivo abbassamento della qualità, grazie a produttori e autori interessati a inseguire il massimo rendimento con il minimo sforzo. Se lasciamo da parte lo spettacolare programma “Alto gradimento” di Arbore, Boncompagni, Marenco e Bracardi, non si può non rilevare che la radio, e poi la tv, sono diventate dei nastri trasportatori in gran parte di banalità musicali cucite da conduttori di facile parlantina e quasi sempre di studi presto interrotti e assai modesta cultura.
Claudio Cecchetto ha incarnato alla perfezione questo modello (tra i talenti da lui scoperti ci sono ad esempio Fabio Volo e Jovanotti… e questo può bastare). Proprio a lui si rivolse Amedeo Umberto Rita Sebastiani con la richiesta di sostenere un provino che andò bene. Da lì iniziò una sfolgorante carriera con il nome di Amadeus (suggerito dallo stesso Cecchetto) a base di trasmissioni radiofoniche e tv, quiz pre-serali, kermesse musicali e festival di ogni genere, tutto procurato dal suo potentissimo manager. Chi è interessato trova tutto in rete.
Quello che non troverà è uno straccio di pensiero degno di questo nome. Proprio perché Amadeus incarna alla perfezione il ruolo di ingranaggio che si deve integrare in tutti i sistemi possibili. Come tale deve essere perfettamente neutro per poter far girare il meccanismo del pensiero unico intriso di relativismo etico che alimenta oramai da troppo tempo la radio e la tv.
Vanno di moda il gender e la (cosiddetta) cultura woke? Ecco che a Sanremo sfilano da anni cantanti e ospiti che rappresentano e promuovono una visione del mondo fluida e senza identità sessuale definita. È da cinque Festival che i dirigenti Rai lasciano Amadeus libero di fare quello che vuole, perché un po’ di scandalo alza lo share, e poi fa così moderno…
Come conduttore, poi, il nostro è una figura da manuale: perché il conduttore ideale deve essere come il vicino di casa che puoi disturbare per chiedergli se ha del sale, e con il quale puoi parlare di qualunque cosa senza pericolo di sentirti inferiore, proprio perché in testa non ha alcun pensiero strutturato che non sia una ovvia banalità.
Ma l’asino casca quando il “bravo conduttore” (come sfotteva Frassica) ambisce a fare il direttore artistico. Mestiere che richiede necessariamente una cultura di fondo, e ampiamente interdisciplinare. Mancando questo requisito, finirà per fare il cameriere delle portate già decise dal mercato. Al massimo condite con un bel contorno di pensiero unico così rassicurante, visto che la vita al di fuori del mondo della tv comincia a essere sempre più dura.
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