Si celebrano i 500 anni dalla morte di Leonardo da Vinci e tutto il mondo ricorda il genio assoluto che era – pittore, scultore, inventore, architetto, ingegnere e molto altro ancora – ricordandone l’eredità che ci ha lasciato. Italiano di nascita, francese di adozione, universale per vocazione, l’autore della Gioconda è probabilmente il personaggio storico più conosciuto e ammirato di tutti i tempi.
Mattarella e Macron hanno deposto fiori sulla sua tomba ad Amboise. Manifestazioni in suo onore si tengono in ogni città dove fioriscono comitati intenti a ricostruire lasciti e legami col territorio. L’ammirazione è senza limiti. Eppure, in Italia la lezione dell’uomo che più di ogni altro ha incarnato spirito e valori dell’era d’oro del Rinascimento è tanto esaltata a parole quanto ignorata nei fatti.
Leonardo cercava la bellezza e l’armonia in ogni cosa. Quanto ne vediamo sparse intorno a noi? Era un maestro e per definizione faceva e insegnava contemporaneamente al gruppo di discepoli che frequentavano la sua bottega avidi di conoscenza e considerazione. Quanti allievi sono oggi animati dagli stessi sentimenti di ammirazione e devozione nei confronti di chi ha il compito di curare la loro formazione?
Certo, le epoche cambiano e così i costumi, le sensibilità, i comportamenti. E non tutti i decenti sono Leonardo da Vinci. Ma il principio che ci fosse un maestro da cui imparare e del cui giudizio occorreva tener conto e che l’apprendimento fosse un processo lungo e laborioso e che avveniva sul campo attraverso l’osservazione e l’approfondimento, è stato per secoli alla base della nostra cultura e dei nostri successi.
Il rapporto diretto, personale, fiduciario tra maestro e allievo ha consentito di plasmare le coscienze d’intere generazioni prim’ancora che trasferire le conoscenze. Bisognava essere e mostrarsi degni di far parte della ristretta cerchia dei giovani introdotti ai misteri del sapere, e fortunati. Pronti a carpire ogni segreto studiando i gesti, le parole e finanche le intenzioni di chi avevamo scelto come nostro formatore.
Si creava così quel rapporto speciale tra maestro e allievo, fondato sulla fiducia e sul rispetto, a cui era demandato il compito di far progredire le arti e i mestieri. Non era un mondo perfetto, ma il sistema di regole che lo sosteneva era in grado di soddisfare gli obiettivi che si dava come dimostrano i progressi compiuti in ogni campo e i capolavori che possiamo ammirare dovunque volgiamo lo sguardo.
La riforma della scuola elementare approvata dal Parlamento, che arriva a vietare sospensioni disciplinari e note sul diario per non turbare la sensibilità degli alunni e non urtare l’amor proprio dei genitori, va in tutt’altra direzione. Il giudizio critico, la sanzione del gesto inappropriato, la valutazione del merito e del demerito sono il sale di un percorso di maturazione che non può essere tutto rose e fiori.
La sensazione è che mentre si ammirano gli uomini e le opere del passato, frutto di un processo di selezione rigoroso pur se non immune dalle ingiustizie che fanno parte della vita, in Italia si continua a sperimentare la via di una crescente deresponsabilizzazione. In Italia, perché altrove e soprattutto nei Paesi emergenti le cose vanno diversamente e ci si prepara alla competizione con molto più vigore.