“Ah vogliamo perdere tempo! E perdiamo tempo!”. Nell’esilarante scena si vedo Totò che confessa al fratello (Peppino De Filippo) di aver venduto le mucche a Mezzacapa, l’odiato vicino, per comprare un trattore, che nessuno sa minimamente come usare. E che infatti poco dopo, fuori controllo, sfonderà il muro del vicino.
Il dibattito sull’uso del contante richiama giusto quel capolavoro assoluto di Totò, Peppino e la… Malafemmina, dove appunto una scena è dedicata allo scambio di contante fra i due protagonisti, degna di un premio Oscar al giorno. Nei nostri giorni invece, le scene e soprattutto il tempo dedicato alla questione, non fanno ridere. Sono pietosi. E vergognosi. Non valgono un commento.
Quello che invece vale segnalare, anche perché fra poco scoppierà il caso e tutti ricominceranno da capo a urlare contro gli ordoliberisti e i poteri egemoni (non contro l’Europa, va un pochino meno di moda al momento, lo stile governativo è più diplomatico, più zigzagante…) è una “piccola” novità nello stesso cruciale mondo, quello delle regole dei mercati e delle transazioni finanziarie. Ed è la nozione e il meccanismo per stabilire il Default.
Sta arrivando, infatti, il momento dell’entrata in vigore della nuova nozione di Default impostata dall’Eba (European Banking Authority) nel 2016. Ripetiamolo. Nel 2016. Andava armonizzato il sistema fra gli operatori finanziari del mercato europeo e c’era più di qualche ragione per intervenire su questo. I nuovi limiti sono piuttosto severi: 500 euro per i clienti imprese (grandi), 100 euro per le persone fisiche e le imprese che, anche in base al settore economico di attività, abbiano un attivo complessivo inferiore a 2,5 milioni ed esposizione verso l’intermediario inferiore a 1 milione.
Si sta parlando degli effetti dei “significativi arretrati di pagamento” che le regole individuano in 90 giorni. Quindi, una media o piccola impresa che protrae per 90 giorni uno sconfinamento o un insoluto di 101 euro, automaticamente viene classificata in Default. Sia chiaro subito, prima che i tanti professionisti del talk show e dei twitter comincino lo stillicidio di sciocchezze, che se è automatica la segnalazione, non è automatica nessun’altra conseguenza, nel senso che gli operatori e gli intermediari non sono costretti a trarre particolari conseguenze in automatico, sebbene i primi a pagare la severità della norma sono proprio loro. Perché oggi gli algoritmi e le regole che presidiano la costante valutazione di solidità e affidabilità degli intermediari (una delle ragioni di questo cammino all’omogeneità) sono tali e tanti, che ogni euro chiesto, prestato o non restituito, incide all’istante sul rating dei player di settore. Resta però il fatto che quel cliente avrà quella segnalazione, per cui al momento del rinnovo degli affidamenti, o di nuove richieste, il tema potrebbe emergere e complicare. E così sarà.
Quelli bravi (dicasi intermediari, banche e operatori) stanno già lavorando per mitigare questi rischi e organizzarsi di conseguenza. Il problema è che fra quelli bravi non c’è mai il Paese in quanto tale, la sua classe dirigente, gli snodi istituzionali e organizzativi che a suon di stipendi milionari, auto blu, inviti in televisione e staff di collaboratori, si prepara e ci prepara alle ragioni e al contesto di un mondo velocissimo, ma non imprevedibile. Insomma, non dovremmo aspettare le Greta per prendere coscienza della natura e dell’entità di certi problemi.
Così la stampa sta riaprendo l’attenzione sugli input a fusioni e aggregazioni nel sistema creditizio che arrivano dall’Europa. In Italia gli spifferi anticipano che qualcosa si muove, forse, o è necessario che si muova per ragioni diverse, da nord a sud. Dicasi Ubi Banca, Banco Bpm, dossier Montepaschi (il socio Stato può e deve uscire). Al sud la Popolare di Bari, con i suoi sussulti e chiaroscuri, che giustamente guarda o è invitata a guardare ai suoi cugini di zona. Ma i temi seri, quelli, nessuno li tratta.
L’eccesso, in diminuzione ma ancora tale, di bancarizzazione del sistema industriale. Il credito chiesto in banca dalle imprese è ancora troppo, rispetto a sistemi più maturi e più capaci di diversificare. Una certa opacità della struttura finanziaria del sistema delle imprese, secondo lo slogan efficace e piuttosto vero “famiglie ricche, imprese povere”. Il problema del passaggio generazionale che falcidia, statisticamente, grandi esperienze industriali e preziosi know-how produttivi e relazionali. Il tema enorme del debito dello Stato verso il sistema produttivo, su cui hanno giurato e spergiurato invano fior fiore di statisti (per così dire). Per non parlare di cose di cui nessuno parlerà mai, come la formazione dei 280.000 bancari che sono al tavolo del rinnovo del loro contratto nazionale, e attraverso i quali pure passa e si veicola una significativa parte di quella fiducia e di quell’efficienza che serve a un paese tragicamente fermo alla prospettiva di una crescita di produttività dello zerovirgola.
Speriamo che quando arriva alle pubbliche cronache la notizia bomba, che con uno sconfino di 100 euro si rischia la classificazione di Default, quelli che verranno invitati in tv non faranno come Totò che illustra a Peppino il carburatore chiamandolo “zanzariera” e spiegando che dentro ci va il bicarbonato. Perché Totò e Peppino facevano sbellicare da morire e sono inimitabili. Questi ci faranno solo morire. Quanto meno di ignoranza e di noia.