Caro direttore,
“Chi avrebbe mai immaginato a giugno del 2018 che un avvocato cinquantenne di Volturara Appula, sconosciuto ai più, nel giro di due anni e mezzo avrebbe messo ko i due giovani pugili più talentuosi della politica italiana? È accaduto”.
Chi l’avrebbe immaginato che un ex direttore del Corriere della Sera, nel lead di un editoriale sul medesimo, avrebbe mescolato in poche righe fake news con fake analysis? E Paolo Mieli resta, anzitutto, il figlio di Renato: colui che ha consentito all’Italia democratica di leggere i Quaderni di Antonio Gramsci, morto in prigionia fascista. Colui che abbandonò il Pci l’attimo dopo che fu rotta la cortina dei silenzi e delle bugie sullo stalinismo.
Conte ha messo ko Renzi? Martedì sera al Senato il premier ha seriamente rischiato lui il fuori combattimento dall’ex premier. È stata solo l’astensione tattica di 16 senatori renziani a fermare i “no” formali a quota 140. E i 156 voti a favore del governo giallorosso (comunque meno dei 161 della maggioranza assoluta dell’aula) ne hanno compresi tre dei senatori a vita, due di transfughi di Forza Italia (fra cui un’ex confidente personale di Silvio Berlusconi) mentre due sono stati ammessi col “Var” da una compiacente presidente del Senato, essa pure tesserata FI.
E non sono state smentite le voci che il senatore Lello Ciampolillo si fosse attardato con emissari del premier in una trattativa febbrile per scambiare un voto “responsabile”con il ministero dell’Agricoltura. Ma soprattutto: in un paese di minima civiltà democratica (ad esempio quello che ieri ha insediato Joe Biden come suo presidente, anche fra gli applausi di Mieli) Conte avrebbe già presentato le dimissioni. Anzi: il presidente della Repubblica le avrebbe pretese e sollecitate. Invece gli ha concesso dieci giorni (non uno o due) per condurre in porto – da premier in carica – altre trattative “responsabili” offrendo verosimilmente in cambio incarichi pubblici.
Il governo dovrebbe invece essere impegnato allo stremo nella messa a punto di un serio Recovery Plan nazionale e nell’accelerare la campagna vaccinale: questo almeno prevederebbe il giuramento costituzionale dell’esecutivo nelle mani del Presidente della Repubblica (nonché quello di quest’ultimo davanti al Parlamento riunito). Nel frattempo tutti i costituzionalisti italiani – a cominciare da quelli della Consulta, così solerti a rilasciare interviste sull’incostituzionalità dei “decreti Salvini” – tacciono: forse troppo distratti a leggere editoriali a favore dell’“avvocato di Volturara Appula”.
Conte ha messo ko Salvini? Forse è sufficiente ricordare che proprio lunedì 18 (prima giornata della verifica politica) la Procura di Milano ha rinviato a giudizio l’ex vicepremier per vilipendio alla “capitana” Carola Rackete: nota per aver violato l’alt imposto dal governo italiano ai confini marittimi (europei) e speronato una motovedetta militare italiana nel porto di Lampedusa. Nella stessa giornata di lunedì anche il tribunale di Torino avrebbe preteso che Salvini fosse in aula (cioè a una collaudata “gogna” mediatico-giudiziaria) in un trasparente procedimento per “vilipendio della magistratura”.
Salvini resta il leader della forza politica italiana che alle ultime elezioni democratiche tenute su scala nazionale (il voto europeo del 2019) è risultata il primo partito con il 34 per cento. E l’ordine giudiziario – dotato di autonomia entro precisi limiti costituzionali – rimane sempre sotto l’alta vigilanza istituzionale del Presidente della Repubblica. Lo stesso Presidente che nell’agosto 2019 ha autorizzato Conte (un non eletto) a succedere a se stesso a capo di una coalizione contrapposta alla precedente. Lo stesso Quirinale che ha autorizzato la formazione del Conte 2 non prima che giungessero tre endorsement internazionali ai limiti dell’interferenza.
Il primo e più noto è stato quello dell’ormai ex presidente americano Donald Trump: che proprio durante i giorni della crisi di governo inviò a Roma il suo ministro della giustizia per chiedere – e verosimilmente ottenere – informazioni di intelligence a fini di politica interna Usa. Ciò con un mai del tutto smentito intervento personale del premier, titolare della delega ai servizi segreti contro una consolidata prassi costituzionale, scrupolosamente rispettata da tutti i precedenti premier eletti.
Un secondo appoggio preventivo “a gamba tesa” al ribaltone di Conte venne dalla presidente designata della Commissione Ue, Ursula von der Leyen: un endorsement “scambiato” con i voti “responsabili” di M5s in europarlamento, a puntello della pericolante Commissione targata Ppe-Pse-Alde.
Un terza, visibilissima, azione di suasion dall’estero a favore del premier indicato per due volte da Beppe Grillo e Luigi Di Maio, venne com’è noto dalla Santa Sede.
Non è stato Conte a mettere ko Renzi e Salvini: è lui che sta mettendo ko il Paese che non lo ha mai eletto e che dovrebbe comunque governare. E sono i giornalisti come Mieli che stanno mettendo ko la credibilità residua degli operatori dell’informazione come “cani da guardia della democrazia”.
PS: un altro editorialista del Corriere – il senatore a vita “neo-responsabile” Mario Monti – ha pubblicamente subordinato la sua fiducia al Conte 2/bis anche a una futura azione di “accrescimento della concorrenza e di rimozione della rendite di posizione” (Corriere della Sera del 17 gennaio). Sarebbe curioso sapere se Monti – ex commissario Ue all’Antitrust – include fra le esigenze improcrastinabili di liberalizzazione dell’economia in Italia anche la rottamazione del duopolio legale che da trent’anni impedisce la concorrenza nel settore televisivo e genera robustissime rendite di posizione a Mediaset. Cioè a un gruppo controllato da Silvio Berlusconi, tre volte premier e tuttora leader di un partito di opposizione: quello da cui – ufficialmente “a insaputa” del Cavaliere – sono appena usciti i preziosi senatori “responsabili” Rossi e Causin. Quel gruppo Mediaset cui Conte – premier neo-europeista – nell’esercizio dei suoi pieni poteri ha appena regalato un provvedimento “ad aziendam” in aperto contrasto con una sentenza della Corte di Giustizia Ue. Uno scudo statale in corsa contro una scalata totalmente legittima – da parte di Vivendi, società residente in un altro Paese Ue – su una società privata quotata in una Borsa Ue.