Su media europei ha avuto poco riflesso all’op-ed cui il presidente americano Joe Biden si è visto costretto nell’ultima settimana. Un passo decisamente irrituale. L’inquilino della Casa Bianca – come qualsiasi capo di Stato e di governo – per regola non affronta i temi-chiave della sua agenda politica scrivendo ai giornali. Tanto meno se la questione è una crisi geopolitica globale senza precedenti. Un leader – in una democrazia occidentale – esercita i suoi poteri, riporta al suo Parlamento, risponde alle domande della “libera stampa” in live conference.
Biden, invece, a cavallo del centesimo giorno della guerra ucraina, ha chiesto ospitalità al Wall Street Journal, per un intervento senza contraddittorio. Ha ignorato il Washington Post, il giornale della capitale statunitense: tradizionalmente vicina ai dem, ma oggi di proprietà di Jeff Bezos, il megamiliardario nemico di sindacati in Amazon e aumento dei salari minimi in America. La Casa Bianca ha voluto parlare direttamente alla “cupola” finanziaria della Grande Mela: che sta emergendo sempre più come un fronte interno nervoso e ostile. Come un establishment dimentico dell’appoggio ininterrotto dato alla candidatura di Barack Obama (nelle settimane drammatiche del crack Lehman), poi a quella di Hillary Clinton, infine alla “riscossa” di Biden contro Donald Trump, tycoon inguaribilmente eccentrico a Manhattan.
È da Wall Street che il primus inter pares fra i banchieri – Jamie Dimon di JPMorganChase – ha cominciato ad alzare la voce: nel giro di una settimana ha addirittura peggiorato le sue previsioni meteo-economiche da “nuvoloso” a “uragano”. L’inflazione al galoppo sta del resto mietendo vittime sia nell’economia reale (dove l’occupazione tiene, ma i salari – bassi – continuano a non aumentare in termini nominali, quindi ora a diminuire in termini reali); sia sui mercati finanziari, abbattendo sia le azioni che le obbligazioni governative e societarie nell’attesa dello sviluppo di politiche monetarie restrittive.
Sono le mosse della Fed – che Biden sta mostrando di voler condizionare non meno di Trump – a preoccupare: il rialzo dei tassi per imbrigliare i prezzi riuscirà a evitare nuovi contraccolpi recessivi dopo quelli da Covid? L’imprenditore del momento, Elon Musk ci crede poco: nella sua Tesla ha immediatamente annunciato 10mila tagli. Bezos non fa mistero dei suoi mal di testa: Amazon negli ultimi due mesi ha perso un terzo del suo valore al listino. Per non parlare di Mark Zuckerberg, che ha appena licenziato da Meta la sua alter-ego Sheryl Sandberg, nota e potente simpatizzante dem.
“Gli americani sono in ansia”, riconosce Biden alla quarta riga del suo intervento sul WSJ. Le tre righe precedenti gli sono comunque sufficienti per articolare la sua linea di difesa, inscritta in una lettura apparentemente oggettiva della crisi in corso. “L’economia globale sta affrontando sfide impegnative. L’inflazione è elevata, esacerbata dalla guerra di Vladimir Putin. I mercati dell’energia sono in forte turbolenza. E le supply-chains non si sono completamente riattivate e causano penurie e impennate dei prezzi”.
Dunque: la guerra in Ucraina (che l’Amministrazione Usa non sembra aver fretta di concludere, anzi) non è la causa dell’inflazione; e comunque il suo impatto “esacerbante” è responsabilità esclusiva della Russia putiniana. Secondo: neppure Biden può nascondere che il rally inflazionistico sia stato attivato dall’impennata dei prezzi dell’energia. Ma alla semplice registrazione del dato non segue un’analisi benché minima, soprattutto: nessun riferimento all’effetto delle sanzioni (per molti versi auto-sanzioni) che Usa e Ue hanno imposto alla Russia sull’export di petrolio e gas, con decisione prettamente politica (confinata peraltro in una riga a metà articolo sulla necessità morale di sostenere l’Ucraina), Meno che mai vi sono accenni al fatto che i prezzi energetici siano in realtà in tensione da quasi un anno: da quando il disastroso ritiro Usa dall’Afghanistan ha avviato l’instabilità globale sfociata poi nell’invasione russa dell’Ucraina. Infine: la radice originaria dell’inflazione – nel Biden-pensiero – è da attribuire alla disruption delle catene logistiche di rifornimento. È un altro fatto incontestabile: cui però il Presidente si guarda bene dall’accostare la parola “pandemia”, verosimilmente per non urtare la Cina, incubatore primo e ultimo del virus. Se di Covid parla, Biden, è solo successivamente nell’intervento: per addossare al suo predecessore ogni responsabilità per la gestione dell’emergenza sanitaria negli Usa.
È su questo sfondo – ampiamente de-responsabilizzante – che Biden innesta una sua ricetta antinflazione in tre passi. Il primo è la fiducia in una corretta politica monetaria da parte della Fed: di fatto il suo gradimento/incoraggiamento al rialzo dei tassi già avviato e disegnato fino alla fine dell’anno. È la tradizionale terapia di breve periodo dei sintomi inflazionistici: che ha già provocato come “collaterale” una serie di crolli ripetuti a Wall Street nell’ultimo mese e primi allarmi sul costo del credito a famiglie e imprese. La seconda linea d’intervento in laboratorio alla Casa Bianca guarda all’accelerazione/accentuazione degli stimoli fiscali legati alla transizione da energie tradizionali a energie pulite. Terza e non ultima misura in arrivo: una “riduzione del deficit federale”, inequivocabilmente ottenibile con un aumento della pressione fiscale su redditi e patrimoni più alti.
È una ricetta che più di un osservatore ha trovato assai più politica che economica: assai più attenta alla scadenza elettorale del midterm a novembre che a un’effettiva azione di contrasto all’inflazione, guardando alle sue cause reali. Ma forse non potrebbe essere diversamente laddove è nei fatti molto politica quella stessa inflazione che invece Biden si sforza di narrare come un fenomeno macro-economico autonomo: estraneo all’escalation geopolitica decisa dagli Usa in Ucraina. Che sta invece già producendo gravi effetti economico-finanziari globali: in Europa come in Africa, in Cina come ormai anche in America.
Quel che è appare inequivocabile è che Wall Street sta rapidamente ritirando la fiducia alla Casa Bianca. E che non basterà un op-ed sulla gazzetta del distretto finanziario newyorkese a far cambiare idea ai banchieri. E soprattutto a calmare il tasso d’inflazione. E’ più probabile che questo avvenga con un cessate il fuoco in Ucraina e la ricerca di percorsi di normalizzazione geopolitico-economica: dopo il “long & global Covid” e i suoi postumi. Ma finora Biden e i suoi consiglieri sembrano rimanere convinti che prolungare la “crociata democratica” contro il (presunto) grande amico di Trump sia la strada migliore per contenere le perdite elettorali in novembre e rivincere le presidenziali fra due anni.
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