Caro direttore,

nell’articolo di Antonio Pagliano pubblicato su queste pagine raramente ho trovato sul tema un’analisi così lucida e purtroppo realistica della situazione; mi permetto quindi non tanto di commentare, ma solo di esemplificare brevemente alcuni aspetti che possano aiutare il lettore magari non così avvezzo a questi temi, a comprendere più a fondo le argomentazioni così efficacemente esposte.



Premetto che stiamo parlando sulla base di ipotesi, essendo che, per quanto di mia conoscenza, ad oggi ho solo reperito una slide della Presidenza del Consiglio dei ministri che in poche righe espone la cosiddetta semplificazione degli appalti e quindi mi auguro sinceramente di potere essere smentito dal “salvo intese” che spero intervenga successivamente. Peraltro, ad annunci cui poi per mesi nulla di concreto è seguito, siamo abituati e quindi…



Ecco alcuni esempi fra le tante questioni irrisolte che servirebbero effettivamente a sbloccare i lavori.

L’attuale codice degli appalti, come ebbi già a scrivere, è nato nel 2016 quasi “nel cuore di una notte” con un proclama dell’allora presidente del Consiglio Renzi, come la grande possibilità di sbloccare i lavori. Come si vede, nulla è successo se non letteralmente “buttare a mare improvvisamente” tutto l’impianto legislativo previgente, con le caotiche conseguenze che ancora subiamo; si prevedevano infatti una serie di successivi provvedimenti che ad oggi dopo oltre quattro anni non sono mai stati completati.



Senza entrare nei dettagli basti pensare che il nuovo regolamento attuativo, che poi è lo strumento operativo con cui si gestisce in concreto il codice, non è mai stato redatto e quindi ad oggi restano vigenti un certo numero di articoli del regolamento datato 2000 più una serie di provvedimenti sparsi (decreti ministeriali, linee guida Anac…), la cui effettiva cogenza tra l’altro è in più di un caso dubbia.

A questo si aggiunge inoltre una recente sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea del 26 settembre 2019 (causa C-63/18) che ha fortemente criticato il nostro sistema di regolamentazione del subappalto e della quale non è ancora chiaro l’ambito di applicazione e la portata effettiva sull’impianto della nostra legislazione; io stesso come imprenditore, e non dovrebbe essere certo il mio compito principale, ho promosso sul tema un’istanza di precontenzioso presso Anac nel tentativo di costringere a un chiarimento sul tema, tanto è confusa la situazione e visto che il legislatore nazionale nulla esprime dopo oltre dieci mesi.

A partire dal 1° gennaio 2014 è entrato in vigore l’allora AVCPass (ora ribattezzato PassOE) con cui “le stazioni appaltanti dovranno eseguire le verifiche dei requisiti  esclusivamente sulla Banca dati nazionale dei contratti pubblici (comunicato dell’allora presidente dell’Autorità di vigilanza dei lavori pubblici del 16 dicembre 2013)Di fatto il documento, che ogni impresa redige sul portale dell’Anac per ogni gara, serve a ben poco; infatti cosa è rimasto di questa bella intenzione iniziale? Poco più di un ennesimo pezzo di carta perché la banca dati in cui sarebbero dovuti convogliare tutti i documenti utili al concorrente per qualificarsi in una gara non è mai stata completamente operativa e quindi ad ogni gara è sempre necessario riproporre tutti i documenti, tutte le volte sempre uguali e tutte le volte da controllare.

Che dire poi del DGUE o Documento europeo unico di gara (entrato in vigore il 18 ottobre 2018), che avrebbe dovuto unificare in una sola forma per tutte le stazioni appaltanti le dichiarazioni dell’impresa? Sarebbe stata una bella semplificazione, ma è rimasto una pura chimera in quanto, se è vero che tutte le stazioni appaltanti sono costrette a chiederlo, poi ciascuna lo modifica come meglio crede e lo “integra” con ulteriori dichiarazioni a proprio arbitrio. Come peraltro sono rimasti sulla carta in cosiddetti bandi-tipo, che avrebbero dovuto unificare in un’unica forma tutti i bandi di gara, ora redatti da ogni stazione appaltante a proprio gusto e piacimento, spesso con errori importanti che rendono quasi inevitabili i ricorsi.

Potrei proseguire con molti altri casi, ma il punto da capire è perché non si sia voluto mettere mano a questo caos di norme e decreti dando certezza del diritto e snellezza procedurale nello svolgimento dei lavori; forse semplicemente perché questo richiede un lavoro reale, conoscenza della materia e competenze professionali che mi sembra siano totalmente assenti in chi ci governa.

Ma veniamo da ultimo al contenuto della “madre di tutte le semplificazioni” ora annunciata dal governo richiamando un’annotazione storica; riporto quanto scritto nell’articolo 4 della legge 106 del 12 luglio 2011, del titolo “Costruzione delle opere pubbliche”:

q) innalzamento dei limiti di importo per l’affidamento degli appalti di lavori mediante procedura negoziata;

r) innalzamento dei limiti di importo per l’accesso alla procedura semplificata ristretta per gli appalti di lavori.

Esattamente quello proposto ora dal Presidente Conte! Dunque nove anni dopo ripropongono le stesse scelte allora introdotte dal quarto governo Berlusconi, bollate dalla sinistra come un regalo alla corruzione e alle mafie, successivamente ridimensionate dai successivi governi e ora invece geniale soluzione per sbloccare i lavori.