La querelle scoppiata fra New York e Israele riguardo le scuole chassidiche dello Stato della Grande Mela è meno eccentrica di quanto sembri rispetto ai fatti del mondo e agli spiriti del tempo.
Dunque: il New York Times – principale quotidiano della metropoli, storico baricentro mediatico della grande comunità ebraica statunitense – ha pubblicato a metà settembre una puntigliosa inchiesta sulle scuole gestite dalle “enclave chassidiche”, i vasti segmenti dell’ebraismo più ortodosso.
Il titolo non si presta d equivoci: “Le scuole religiose ebraiche fanno brutta figura con i soldi pubblici”. La sintesi del reportage è dura: a fronte di un miliardo di dollari di finanziamenti governativi in quattro anni, gli allievi delle scuole chassidiche dello Stato di New York falliscono sistematicamente i test-standard predisposti dalle autorità scolastiche statali, in comprensione dei testi e in matematica.
Il monitoraggio dei risultati della didattica condotta nelle “yeshivah” è d’altronde molto difficoltoso: i leader religiosi si oppongono da sempre ai controlli. I due reporter del Nyt – Eliza Shapiro e Brian Rosenthal – hanno investigato per un anno una galassia di oltre 100 scuole private newyorkesi, svolgendo 275 interviste. La loro conclusione è impietosa: “Le scuole chassidiche hanno sistematicamente negato a generazioni di ragazzi un’educazione basica, non preparandoli a navigare nel mondo esterno e intrappolandone molti in un circolo vizioso di disoccupazione e dipendenza […] le scuole paiono essere gestite in violazione delle leggi statali che garantiscono a ogni ragazzo pari opportunità di educazione”.
Non inattese, reazioni molto decise alla sortita del Nyt sono giunte da Israele: perfino sulle pagine “liberal” di Haaretz: principale quotidiano progressista fra Tel Aviv e Gerusalemme, storicamente lontano dall’ebraismo ortodosso, da sempre pilastro delle forze politiche di centrodestra. A intervenire è stato uno dei leader dell’ortodossia religiosa americana il rabbino Avi Shafran, che tuttavia collabora regolarmente con Haaretz: che ha pubblicato senza esitazioni una sua “opinion” dal titolo tagliente, “Quel brutto e spudorato pregiudizio del Nyt verso gli ebrei chassidici”.
È chiaro che se l’inchiesta incriminata non fosse stata condotta da un organo di informazione intrinsecamente ebraico, ma magari da qualche media della destra americana o europea, sarebbe scattata l’accusa bruciante di “antisemitismo”. La polemica fra il Nyt e rabbi Shafran – che teme per la “sicurezza della comunità heredim”- corre invece sul filo di un paradosso multiplo. Perché la voce più prestigiosa dell’ebraismo liberal americano e internazionale attacca l’ebraismo religioso ortodosso “del cortile di casa”? E perché è la testata più autorevole dell’ebraismo liberal di Israele a far risuonare “in piazza” la rabbia degli ebrei ortodossi statunitensi?
La chiave, con qualche evidenza, sembra da ricercarsi nel doppio appuntamento elettorale in agenda entro un mese. L’1 novembre si vota in Israele: per la quinta volta in tre anni. Otto giorni dopo si vota negli Usa per il midterm. per il rinnovo dell’intera Camera e di un terzo del Senato. Al nocciolo: in Israele la destra religiosa e nazionalista di Bibi Netanhyau si gioca il ritorno al potere dopo la breve interruzione del governo “diversamente di destra” di Naftali Bennett. A “King Bibi” si contrapporrà il premier reggente Yair Lapid, ma la sua candidatura centrista appare tutt’altro che solida.
Negli Usa, invece, i dem del presidente Joe Biden rischiano di perdere la maggioranza di entrambi i rami del Congresso e vedono incombere l’ombra del ritorno di Donald Trump sulla campagna delle presidenziali 2024. I rapporti fra Trump e Netanhyau (grande nemico di Barack Obama) erano e restano solidi: e The Donald (che ha una figlia convertita all’ebraismo) ha sempre potuto contare sull’appoggio importante degli ebrei ortodossi americani.
È stato d’altra parte l’Israele di “King Bibi” a muoversi con più determinazione da battitore libero geopolitico: anzitutto fra Cina e Russia. Esattamente come sta facendo il reggente saudita Mohammed bin Salman: che ha molto migliorato le sue relazioni con Gerusalemme, in funzione anti-Iran. Non è stato dunque sorprendente vedere sia Israele che Arabia Saudita in posizione sostanzialmente neutrale rispetto alla guerra russo-ucraina: cioè sulla guerra di Biden. Il Nyt appare chiaramente nervoso sulla tenuta “dem” degli ebrei d’America. Ma agli ebrei liberal israeliani sembra non piacere per nulla che in nome dei “dem” Usa e della crociata Nato contro la Russia gli ebrei liberal americani aggrediscano gli ebrei ortodossi americani alla vigilia di un voto molto incerto a Gerusalemme.
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