«Non dite che non ce l’avevano detto» e così a seguire l’incipit di un nostro intervento dello scorso marzo. Allora, sei mesi fa, il tema che veniva trattato era legato alle dichiarazioni fornite sulle prospettive (negative) dell’inflazione e le considerazioni da noi menzionate su quanto “detto”, e ancor più sottolineato attraverso lo “scritto”, non avrebbero potuto lasciare alcun alibi in capo a coloro che, colti impreparati, avrebbero manifestato (nelle successive tornate Istat) il loro stato di sorpresa ai numeri di volta in volta enunciati.
Oggi, ancora una volta, il rischio di ricadere in un presupposto stato di “futura ignoranza” sembra poter essere concreto. Ovviamente si parla sempre di previsioni e nessuno possiede la famigerata sfera di cristallo, ma, guardando ai conti di casa nostra, da più fronti sovviene un unico pensiero riconducibile questa volta a una (ormai) certa conclusione: l’Italia sarà presto in recessione.
Le agenzie di rating S&P e Fitch ne sono già convinti e il Fondo monetario internazionale altrettanto. Ampliando l’analisi ed estendendo l’osservazione oltre i nostri confini il timore di una recessione globale (pertanto comprendente anche noi) risulta evidente: il Governatore di Bankitalia Ignazio Visco l’ha recentemente affermato: «Non si può escludere una recessione globale». Ieri, nel primo pomeriggio, si poteva apprendere come gli economisti di Bloomberg «hanno modificato il loro outlook e ora prevedono che ci sia una possibilità del 100% di una recessione nei prossimi 12 mesi» (fonte Radiocor).
All’insieme di queste affermazioni (molte altre non citate, ma comunque facilmente reperibili) si potrebbe obiettare in modi diversi. Le argomentazioni sono innumerevoli. Oggi, il problema (perché di tale situazione si sta parlando) ci vede coinvolti al pari delle gesta di un attore che, al termine della propria parte, ammette senza alcun indugio che la propria performance verrà valutata negativamente.
Contestualizzando la realtà dei fatti è sufficiente riprendere il recente “Documento Programmatico di Bilancio 2023” trasmesso alla Commissione Ue lo scorso 10 ottobre 2022 e trovare il “riscontro scritto” che attesta il nostro prossimo futuro recessivo.
Appare evidente la revisione dei conti infatti, al paragrafo “Rischi per la previsione” viene chiaramente indicato: «I risultati delle simulazioni mostrano che se il primo e il terzo shock menzionato (minor crescita globale e allargamento dello spread) si verificassero contemporaneamente il Pil crescerebbe meno di quanto indicato dalla previsione tendenziale di 0,3 punti percentuali nel 2023 (dimezzando quindi la crescita prevista per l’anno), 0,6 p.p. nel 2024 (col risultato di abbassare il tasso di crescita di quell’anno all’1,2 per cento) e 0,2 p.p. nel 2025 (riducendo la crescita all’1,3 per cento)».
Si tratta, ormai, di una “non notizia” perché ovvia se raffrontata alle economie a noi vicine. Ma, invece, quello che più appare sottovalutato (si teme ai molti commentatori) è l’approfondimento (sempre scritto) al cosiddetto “Aggiornamento della previsione del Pil alla luce delle nuove esogene”. Si legge: «Per quanto riguarda il Pil nominale – variabile assai rilevante ai fini delle proiezioni di finanza pubblica e dei rapporti fra deficit, debito e Pil – le previsioni vengono riviste al rialzo rispetto al Def, con l’unica eccezione del 2023, nel cui caso l’abbassamento della crescita reale prevista eccede la revisione al rialzo delle proiezioni di crescita del deflatore del Pil».
E ancora (ecco giungere la nota dolente ovvero il problema): «Nello specifico, partendo dai dati Istat per i primi due trimestri dell’anno, le valutazioni interne più aggiornate indicano una variazione leggermente negativa del Pil nel terzo trimestre quale risultato di una contrazione congiunturale del valore aggiunto dell’industria manifatturiera e delle costruzioni, solo parzialmente compensata da un incremento dei servizi. Per il quarto trimestre, l’intervallo delle stime più aggiornate si situa intorno ad una lieve contrazione del Pil in termini reali, attribuibile in primis al settore industriale». Il tutto, tradotto in pratici e sempre più inflazionati “soldoni”, il precedente esecutivo ha dichiarato espressamente (destinatario la Commissione Ue) che il Bel Paese vivrà una recessione.
Prescindendo dall’entità della portata, lo stato di fatto è evidente e come spesso accaduto privo di possibili (errate) interpretazioni.
L’Italia sarà in recessione e a scriverlo sono state persone autorevoli (decisamente) e non scanzonati commentatori che diffondono fake news, attribuiscono colpe a celati poteri forti o alimentano teorie del complotto contro il nostro paese.
Anche questa volta l’hanno scritto (e non detto). I tempi sono probabilmente troppo stretti e l’esito di un possibile intervento potrebbe essere se non tardivo quasi certamente doloroso. Da ricordare, sempre: “L’unico pericolo sociale è l’ignoranza.” (cit. Victor Hugo).
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